giovedì 13 novembre 2014

993 - Sc ermi omolog ati Aurélie Godet, Cahiers du cinéma, Francia

N
el Regno Unito l’industria
del cinema è malata. Hollywood ha tessuto la sua tela
e, se i blockbusterfanno incassare  a  qualcuno  buoni
guadagni, il cinema indipendente sofre. Se
anche le sale d’essai mettono da parte la loro programmazione abituale per lasciare
spazio a Skyfall(record storico al botteghino britannico), il pubblico accorre, manifestando un sempre più pericoloso allontanamento dal cinema d’autore. Le delusioni
bruciano ancora, dal discorso sui risultati
del cinema, pronunciato nel gennaio 2012
dal premier David Cameron, alla sua decisione di chiudere il Film council britannico,
che era stato creato nel 2000 per favorire il
inanziamento del cinema nazionale e la
formazione dei suoi addetti. Il British ilm
institute (Bfi), che si è trovato a portare
avanti la missione del defunto Film council,
difonde un comunicato ottimista, in cui
però c’è molto da leggere tra le righe. Il settore è in buona salute (leggera crescita dello
0,5 per cento in un 2012 da record), ma quasi del tutto occupato dai  blockbuster. Il cinema statunitense rappresenta da solo il 60
per cento circa degli incassi al botteghino,
ma anche il valore del cinema nazionale (38
per cento nel 2012) è dato da produzioni
anglo-americane come Skyfall, Il cavaliere
oscuro, Prometheus e War horse. Non resta
molto per il cinema indipendente, soprattutto se gli si toglie pure il sostegno delle
istituzioni.
Il Regno Unito è stato il paese in cui è
avvenuta in tempi più brevi la transizione al
digitale, accompagnata dal 2010 da un fondo pubblico, il Digital screen network. Pilotato dal Film council, questo fondo ha inanziato l’equipaggiamento delle sale in
cambio del loro impegno a inserire nella
programmazione i ilm indipendenti. Queste promesse erano tuttavia limitate nel
tempo, e appena inita la fase di sorveglianza le leggi del mercato hanno ripreso il sopravvento, ancora più impunemente dato
che il Film council è stato soppresso.
James Wood, direttore della programmazione per i cinema Curzon, fa parte degli
scettici: “Le catene di multisala non si preoccupano di diversiicare la programmazione, pur avendo ricevuto soldi pubblici per
passare al digitale”. Eve Gaberau, alla testa
di Soda Pictures, distributore indipendente, parla di un anno difficile: “Skyfallha
eclissato tutto il resto. Noi abbiamo fatto
uscire lo stesso giorno L’enfant d’en haut di
Ursula Meier. Il suo ilm precedente si era
ricavato un suo pubblico, ma stavolta non
ce l’ha fatta. Conosco un cinema d’essai che
ha programmato Skyfall nelle sue due sale!
Tutti hanno cercato di sfruttare la popolarità del ilm”.
La geografia della distribuzione indipendente è ugualmente segnata da contrasti: si concentra su Londra e qualche polo
universitario, Oxford, Cambridge, Edimburgo ma anche Dublino. Londra rappre senta ino al 75 per cento degli incassi dei
ilm d’autore (simile al peso di Parigi per i
piccoli ilm). “Diicile andare a cercare un
pubblico al di fuori di queste città”, spiega
Jezz Vernon, responsabile della distribuzione della Metrodome. Per Cedric Behler,
cofondatore di Trinity Films: “C’è una vasta
zona d’ombra: il nord dell’Inghilterra, dove
nessuno si interessa ai ilm indipendenti”.
Guerriglia della distribuzione
Servirebbe una strategia commerciale simile alla guerriglia. I piccoli distributori
fanno a gara a chi si inventa le migliori trovate di marketing. I ilm francesi hanno un
loro seguito, ma promuovere una pellicola
sottotitolata nel Regno Unito ha qualcosa di
eroico. Si può aspirare, nel migliore dei casi,
ad arrivare al traguardo del milione di sterline al botteghino (circa 160mila ingressi),
raggiunto da alcuni ilm di Almodóvar o di
Audiard (Il profeta). Per quanto riguarda la
stampa, è soprattutto la critica del Guardian
ad avere un peso, in particolare le recensioni del suo giornalista star Peter Bradshaw.
Le altre testate (il Daily Telegraph, il Sunday Times o il Times) contribuiscono soprattutto a collezionare le stelline che appaiono sui manifesti del ilm o sulla custodia
del dvd.
In Gran Bretagna la distribuzione in sala
dipende molto dalle vendite di video, che
possono rappresentare ino all’80 per cento
dei guadagni di un ilm. L’uscita in sala non
è che la punta dell’iceberg della carriera di
un lungometraggio.
L’uscita di alcuni film  direct-to-video,
ovvero che non passano nelle sale ma si
vendono direttamente in dvd, è una delle
strategie usate per fare cassa. Ma anche su
questo fronte si registrano segnali d’allarme. La recente chiusura di Hmv, la principale catena britannica per la vendita di dischi, dvd e prodotti elettronici (240 punti
vendita e quattromila impiegati), ha avuto
conseguenze dirette e immediate sul inanziamento della distribuzione indipendente,
privandola di un segmento importante dei
suoi guadagni nel settore home video. I
grandi magazzini si limitano a ofrire i ilm
delle major, mentre un negozio specializzato come Hmv poteva arrivare a rappresentare il 75 per cento delle vendite di un ilm
indipendente o straniero. E le vendite online non compensano il crollo di quelle nei
negozi. “La bancarotta di Hmv avrà l’efetto
di polarizzare ancora di più il mercato britannico”, nota Cedric Behrel. In gioco c’è la
sopravvivenza dei piccoli distributori.
In genere gli operatori del settore rispettano consensualmente la inestra di quattro
mesi che intercorre tra l’uscita in sala e
quella in dvd. Ma le eccezioni sono sempre
più tollerate. “Le multisala sono rigide nelle
contrattazioni, ma tendono a chiudere un
occhio per le piccole produzioni”, spiega
Clare Binns. Artiicial Eye, che come Picturehouse ha la particolarità di occuparsi di
distribuzione e home video, è andato oltre,
elevando a norma le uscite day-and-date
(sala e dvd simultaneamente). “È il solo
modo per permettere alle persone che non
vivono nelle grandi città di vedere ilm come Holy motors o  Alps al momento della loro
uscita. Il prezzo è comparabile a quello del
biglietto del cinema”, commenta Louisa
Dent, direttrice di Artiicial Eye, il reparto
di distribuzione della Curzon. “C’è chi si
oppone, ma gli spettatori devono poter vedere un ilm quando e come vogliono”.
Jason Wood è più pessimista. Proprio
mentre conferma che Curzon registra alcuni successi, più o meno modesti (il ritorno
nelle sale di Chinatowno il trionfo londinese di Amour), lancia un appello disperato:
“Che futuro vogliamo per questa industria
nel nostro paese? Dobbiamo chiedercelo
prima che sia troppo tardi. Il solo modo di
evitare la catastrofe è una vera presa di coscienza, non solo da parte degli operatori
del settore, ma anche degli spettatori, che
devono assumersi le loro responsabilità. La
loro assenza equivale a una capitolazione”.
La profezia è particolarmente inquietante,
dato che le sale Curzon possono rappresentare ino all’80 per cento della difusione
per un ilm indipendente. Questo appello
alla responsabilità chiama in causa tutti i
paesi, anche quelli in cui il pubblico considera la diversiicazione dell’oferta scontata, e non si accorge della lenta ma inesorabile omologazione. u  n

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