martedì 21 gennaio 2014

1033 - Edilizia impo polare Claudia Bellante, The Caravan, India. Foto di Mirko Cecchi Nel 2009 il governo brasiliano ha lanciato un programma per dare un alloggio alle famiglie povere. Oggi, però, la gestione degli ediici è inita nelle mani di milizie private che ricattano i nuovi arrivati. Il caso di Rio de Janeiro

U
n  pomeriggio  d’agosto
del 2012 i vicini hanno
chiamato Maria Neuma
al lavoro per avvertirla di
non tornare a casa. Maria,  47  anni,  abitava  a
Rio de Janeiro da due mesi nel comprensorio Coimbra, un complesso residenziale
nella zona ovest della città costruito dal governo nel quadro del programma Minha
casa, minha vida (La mia casa, la mia vita),
varato per fornire un alloggio a milioni di
brasiliani poveri. Fin dal suo avvio, però, il
programma ha incontrato molti ostacoli.
Nelle intenzioni doveva afrontare i numerosi problemi d’igiene, sovrappopolazione
e criminalità che aliggono le favelas delle
metropoli brasiliane, ma a Rio molti dei
nuovi complessi residenziali, a causa della
loro posizione isolata, si sono trasformati
subito in ghetti controllati da milizie informali armate. E dal momento che la milizia
che  controllava  il  condominio  Coimbra
aveva minacciato la famiglia di Maria Neuma, i vicini hanno pensato di chiamarla per
consigliarle di stare alla larga da casa. “È
meglio se non rientri, gira voce che ti vogliono ammazzare”. Sono queste le parole
dei vicini che Maria ricorda ancora quando
la incontro nell’agosto del 2013. “Ero terr  rizzata. Ho avvertito immediatamente il
mio compagno e i miei igli di lasciare tutto
com’era e di uscire senza dare nell’occhio”.
Quando  la  famiglia  si  è  rivolta  in  cerca
d’aiuto alla prefettura di Rio, le è stato oferto alloggio in un centro per senzatetto. Hanno riiutato l’oferta e sono tornati nella favela di Caju, dove vivevano prima.
Il programma Minha casa, minha vida è
stato lanciato nel 2009 dall’allora presidente Luiz Inácio “Lula” da Silva. All’epoca sono stati stanziati 34 miliardi di real, cioè più
di dieci miliardi di dollari, per costruire entro il 2011 un milione di unità abitative in
tutto il paese. Oggi il piano è entrato nella
sua seconda fase, che prevede la
costruzione di un altro milione di
alloggi entro la ine del 2014. Secondo la segretaria municipale
all’edilizia, dal 2009 sono stati
consegnati  agli  abitanti  di  Rio
13.677 alloggi, di cui 12.167, cioè il 90 per
cento, nella zona ovest della città, dove si
trova anche il condominio Coimbra. “È stata un’operazione importante e lungimirante, che ha cercato non solo di dare risposta
al deicit abitativo, ma ha anche stimolato
l’economia, visto che ha dato lavoro a centinaia di aziende, evitando che il Brasile fosse
soprafatto dalla crisi internazionale”, spiega Adauto Cardoso, docente dell’Osservatorio delle metropoli, un centro di ricerca
urbanistica dell’università federale di Rio
de Janeiro. “Ma il guaio, specie a Rio, è che
molti di questi complessi residenziali sono
stati costruiti in zone periferiche, dove i terreni costano meno, ma dove spesso i servizi
di base non esistono. Insomma, invece di
essere una soluzione sono diventati un nuovo problema”.
Portavoce degli occupanti
Maria Neuma aveva lasciato la sua abitazione di Caju quattro anni prima per fuggire
dal marito violento. A causa dell’illegalità
che imperversava nella favela, poteva fare
ben poco contro di lui. “Anche se l’avessi
denunciato  alla  polizia”,  mi  dice,  “non
l’avrebbero arrestato, perché a Caju la legge
la fanno i traicanti di droga, la polizia non
ci mette piede”. All’inizio Maria Neuma si
era stabilita in un palazzo di sei piani nel
quartiere di Estácio, vicino alla stazione
centrale. L’immobile, di proprietà del Banco do Brasil, era occupato da 140 famiglie.
Con il passare del tempo Maria era diventata  leader  e  portavoce  degli  occupanti.
Quando sono arrivate le minacce di sfratto,
nel giugno del 2012, aveva raggiunto un accordo con l’amministrazione comunale,
ottenendo per molti un alloggio nei nuovi
condomini del programma Minha casa,
minha vida.
Neuma era inita al comprensorio Coimbra, sull’avenida Palmares, una strada di
campagna nel bel mezzo del nulla, nel sobborgo di Santa Cruz, un’area isolata e mal
collegata al centro, che dista quasi due ore
dalle zone ricche di negozi e attività culturali. È abitata da 1.400 persone, distribuite
in 28 palazzi di quattro piani ciascuno. Gli
appartamenti sono tutti uguali: ingresso,
cucina, bagno e due camere da letto, per un
totale di circa 42 metri quadrati.
“Al mio arrivo mi sono resa conto subito
che la situazione era diicile”, ricorda Maria. “C’era gente che proveniva
da favelas dominate da bande criminali rivali e che covava ancora
vecchi rancori”. Visto che laggiù
le istituzioni faticano ad arrivare,
l’intero quartiere era inito sotto il
controllo della milizia formata da ex poliziotti corrotti, pompieri e perfino delinquenti con condanne alle spalle. Al Coimbra la legge la facevano loro, e agivano impunemente, ricorrendo a minacce e alla
violenza per mantenere l’ordine.
Neuma si è resa conto che tra i componenti della società di gestione c’era scarso
coordinamento e che i nuovi inquilini non
erano disposti ad assumersi responsabilità
amministrative. “C’erano molti problemi.
Le scuole della zona erano insuicienti per
le esigenze della popolazione. Quando l’ho
denunciato al comune, è stata avviata in
tutta fretta la costruzione di un complesso
scolastico, ma nei due mesi che ci sono voluti per inirlo molti hanno perso il diritto ai
sussidi che il governo brasiliano concede
alle famiglie povere per far studiare i bambini”. Al Coimbra, inoltre, c’erano poche
opportunità di lavoro: Santa Cruz è un centro industriale importante, ma i suoi nuovi
abitanti, poco istruiti, non erano abbastanza qualiicati per i posti di lavoro oferti.
Alla ine Neuma si è convinta che il progetto del Coimbra fosse un tentativo del
sindaco di Rio, Eduardo Paes, di ingraziarsi
gli elettori in vista del voto dello scorso ottobre: ha sfruttato il sogno dei poveri di diventare “proprietari della casa in cui vivono”
ma senza creare le infrastrutture necessarie
a una società sana. “Altro che Minha casa,
minha vida”, dice Maria, “io lo chiamo Minha casa, minho inferno”.
Altri sostengono che il governo non aveva l’obiettivo di ofrire una vita migliore ai
cittadini. “Il comune inge di occuparsi della gente, ma in realtà vuole solo ripulire certe zone della città”, mi ha detto Renato Cosentino, portavoce del comitato popolare
contro la Coppa e le Olimpiadi, un’organizzazione che contrasta il progetto governativo di riqualiicare alcuni quartieri in vista
dei Mondiali di calcio del 2014 e delle Olimpiadi del 2016. “I poveri vengono allontanati e nascosti nell’estrema periferia, come la
zona ovest”. Molte favelas, che il governo
ha dichiarato “a rischio” per poterle sgomberare e trasferire gli abitanti, si trovano “in
posizioni  strategiche  per  i  futuri  eventi
sportivi”, fa osservare Cosentino. “Sarebbe
più facile risistemarle e dare una vita dignitosa a quelli che ci abitano. Invece il governo preferisce allontanarli e vendere i terreni
alle società immobiliari”.
Un mese dopo essersi trasferita al Coimbra, Maria Neuma è stata eletta amministratrice del condominio e la milizia non ha
tardato a farsi viva. “Sono venuti a darmi il
benvenuto”, dice. “Il capo era un ex poliziotto, lo chiamavano Barack Obama. È
stato ucciso di recente”. Ma la visita aveva
uno scopo sinistro: “Volevano che pagassimo il pizzo per la protezione del quartiere”,
racconta Neuma. “Io sapevo che andava
fatto per stare tranquilli, ma a quel tempo il
Coimbra era abitato solo in parte, quindi
era impossibile racimolare tutti i soldi che
chiedevano”.
Maria racconta che la milizia ricorreva a
metodi brutali per punire chi non stava alle
regole. “Ho abitato lì solo da giugno ad agosto, e in quel breve periodo quattro persone
sono sparite e sette sono state cacciate. Tutte avevano qualcosa a che fare con la droga:
erano spacciatori o tossici, che la milizia
non tollera”. Dopo un po’ hanno cominciato
a minacciarla perché non pagava la cifra richiesta. A quel punto Neuma si è rivolta alla
Commissione per i diritti umani di Rio e al
dipartimento per la repressione della criminalità organizzata (Draco). “Ma le intimi  dazioni si facevano sempre più insistenti e
così ho  dovuto mollare e andare via”.
Quando ho visitato il Coimbra, ad agosto, gli abitanti non volevano parlare della
milizia e delle violenze. Solo uno studente
universitario, Gabriel Augusto, mi ha confermato quello che ha detto Maria. “Costringono ogni famiglia a versare un tanto al
mese, di solito fra i venti e i trenta real (6-9
euro)”, mi ha detto. “Sono come dei vigilantes privati, ma se non paghiamo ci minacciano di morte. Le regole sono: niente droga, niente violenze domestiche e niente
furti. Se vogliamo le bombole per il gas, internet o la tv via cavo, dobbiamo chiedere a
loro, e per spostarci siamo costretti a prendere gli autobus di loro proprietà. Alternative non ce ne sono, perché i trasporti pubblici qui non arrivano, e la strada principale si
trova a più di mezz’ora di cammino”. Secondo i calcoli di Gabriel Augusto, circa la
metà delle persone arrivate al Coimbra ha
inito per subaittare gli appartamenti o li
ha svenduti ed è tornata alla favela.
Il nuovo amministratore del Coimbra è
Leandro Ferreira, 31 anni, sposato e padre
di sei igli. Prima Ferreira abitava in una favela chiamata Cidade de Deus. “La nostra
baracca si trovava nella parte della favela
che chiamavamo ‘il cimitero’, perché i traficanti ci gettavano i cadaveri delle loro vittime”, racconta. Lui stesso ha commesso
violenze e ha usato droghe quando abitava
lì. Ora che è arrivato al Coimbra è cambiato
e vuole darsi da fare per la sua nuova comunità. “Secondo me, il governo ha fatto una
buona cosa per noi, ma non basta”. Da mesi
Ferreira sta cercando di spingere il comune
a inire un nuovo pronto soccorso e ad av  viare un centro di formazione “per dare a
noi adulti la possibilità di inire gli studi e
trovarsi un lavoro dignitoso”. Nel suo ruolo
di amministratore, Ferreira ha il difficile
compito di mediare tra le esigenze degli
abitanti e le regole imposte dalla milizia
senza denunciarla apertamente. “Ogni posto”, dice, “ha il suo scerifo”. E anche per
lui l’argomento è chiuso  u

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