martedì 21 gennaio 2014

1033 - I motivi della crisi che scuote la Turchia - Il sostegno del movimento islamico di Fethullah Gülen è stato cruciale per il governo di Recep Tayyip Erdoğan. Ora la ine di quest’alleanza minaccia la stabilità del paese Mustafa Akyol, Al Monitor, Stati Uniti KIYOSHI OTA (BLOOMBERG VIA G

L
o scandalo di corruzione che a
dicembre ha provocato le dimissioni di tre ministri continua ad
allargarsi.  Il  governo  dell’Akp
(Partito per la giustizia e lo sviluppo, conservatore) accusa i suoi ex alleati del movimento guidato da Fethullah Gülen di manipolare la giustizia per rovesciare l’esecutivo. La tensione tra l’Akp e il movimento è
costantemente aumentata negli ultimi due
anni.  Il  primo  ministro  Recep  Tayyip
Erdoğan, lo studioso dell’islam Fethullah
Gülen e i loro rispettivi sostenitori sono tutti musulmani provenienti dalla corrente
sunnita maggioritaria in Turchia (hanai).
In passato Erdoğan e Gülen si sono alleati
contro l’autoritarismo laico e hanno usato
riferimenti religiosi per sostenere le loro
argomentazioni. Nonostante questo ci sono alcune diferenze di rilievo. Il nucleo
dell’Akp proviene dalla tradizione del Millî
görüş (Visione nazionale), la versione turca
dell’islam politico caratterizzata da toni
antioccidentali e panislamici. Anche se
l’Akp ha esplicitamente abbandonato questa ideologia in dalla sua fondazione, più
di dieci anni fa, la maggior parte degli osservatori  ritiene  che  negli  ultimi  anni
Erdoğan si sia gradualmente riavvicinato
al Millî görüş.
Il movimento di Gülen invece si rifà alle
idee del teologo islamico Said Nursî (1878-1960), che predicava la supremazia della
fede e dell’etica sulla politica. Di solito i
suoi sostenitori riiutano le derive politiche
dell’islamismo. Anche per questo i seguaci
di Gülen non hanno mai votato per i partiti
legati al Millî görüş, preferendo le formazioni politiche di centrodestra. Alcuni studenti islamici hanno deinito il movimento  di Gülen come un’espressione dell’“islam
culturale” in opposizione all’islam politico.
I motivi dello scontroSe il movimento di
Gülen si fosse limitato alla cultura islamica, però, non si sarebbe mai arrivati alle
attuali tensioni. Secondo molti osservatori
invece il movimento ha una sua concezione di impegno politico: ottenere per i suoi
esponenti incarichi di rilievo all’interno del
sistema giudiziario e delle forze dell’ordine. Questa strategia è cominciata negli anni settanta per modiicare uno stato ostile
– il draconiano regime laico turco – iniltrandosi gradualmente nei suoi ranghi.
L’impegno politico del movimento è stato
sempre portato avanti di nascosto, alimentando speculazioni e teorie del complotto.
Quando l’Akp è salito al potere nel 2002
ed è stato subito preso di mira dalla vecchia
guardia  secolare,  i  sostenitori  di  Gülen
all’interno della polizia e del sistema giudiziario sono emersi come un alleato naturale del governo. Così Erdoğan avrebbe deciso di sostenerli a scapito dei loro rivali laici.
Tuttavia, dopo la deinitiva sconitta del
vecchio establishment tra il 2010 e il 2011,
sono emerse alcune divergenze tra l’Akp e
il movimento. Il primo momento critico è
arrivato con la crisi del Mit, il servizio segreto turco.
Nel febbraio del 2012 il capo del Mit Hakan Fidan, uomo di iducia di Erdoğan, è
stato chiamato a testimoniare da un giudice di Istanbul nell’ambito di un’indagine
sul  Partito  dei  lavoratori  del  Kurdistan
(Pkk). Secondo il New York Times era “l’ultimo atto di una lotta di potere tra le forze
di sicurezza e i servizi segreti”, ma l’episodio è stato interpretato anche come uno
scontro tra l’Akp e gli esponenti della polizia e del sistema giudiziario vicini a Gülen.
Da allora i sostenitori di Erdoğan hanno
denunciato l’esistenza di uno “stato nello
stato” che agirebbe in base alla sua personale gerarchia e userebbe il potere per proteggere i propri interessi.
L’escalationDopo la crisi del Mit del febbraio 2012 tra l’Akp e il movimento i rapporti sono stati ostili ma tranquilli, ino a
quando, a metà dello scorso novembre, la
decisione di Erdoğan di chiudere le “scuole
preparatorie” (i corsi del ine settimana che
preparano gli studenti liceali agli esami
universitari) ha fatto precipitare la situazione. Il movimento, che gestisce un quarto delle scuole e le considera una fonte di
inanziamento e reclutamento, ha interpretato la mossa del primo ministro come
un attacco. I mezzi d’informazione vicini a
Gülen  hanno  parlato  di  un  “attentato
all’impresa privata” da parte del governo.
L’esecutivo ha risposto con dichiarazioni
durissime, e presto lo scontro verbale è degenerato in guerra aperta.
La battaglia tra “una leadership politica
sempre più autoritaria e il suo rivale sempre più nervoso”, come l’ha deinita Yasemin Çongar su Al Monitor, ha avuto una
nuova svolta il 16 dicembre, quando Hakan
Şükür, ex stella del calcio diventato parlamentare, si è dimesso dall’Akp. Şükür, che
al momento delle dimissioni ha duramente
criticato il governo, è un seguace di Gülen,
e se il suo ingresso in parlamento nel 2011
era apparso come un sigillo al matrimonio
tra il movimento e il partito, la sua uscita ne
ha sancito il divorzio.
La vera bomba però è esplosa il giorno
successivo. Il giudice Zekeriya Öz, considerato un esponente del movimento di
Gülen, ha ordinato una retata contro deci  ne di persone, inclusi i igli di tre ministri,
un sindaco dell’Akp e alcuni uomini d’afari e funzionari statali. Milioni di dollari ammassati in scatole di scarpe sono stati mostrati ai giornalisti, rivelando quello che è
senza dubbio il più grave scandalo di corruzione nella storia recente della Turchia.
Nel giro di otto giorni i quattro ministri
coinvolti hanno rassegnato le dimissioni.
Uno di loro, Erdoğan Bayraktar, ha dichiarato che anche il premier avrebbe dovuto
dimettersi.
Dall’inizio dell’inchiesta sulla corruzione sono emerse due versioni in contrasto
tra  loro.  Secondo  i  sostenitori  dell’Akp
l’obiettivo del movimento di Gülen, o per
lo meno del suo “stato nello stato”, è sabotare il governo cercando di portare a termine un “colpo di stato” per vie legali. I mezzi
d’informazione vicini a Gülen accusano
invece l’esecutivo di voler nascondere la
corruzione ricorrendo a teorie del complotto e ostacolando il corso della giustizia.
Il ruolo di Iran e IsraeleAl centro dello
scandalo c’è l’accordo “petrolio in cambio
di oro” con l’Iran. Ankara avrebbe usato
l’accordo per aggirare le sanzioni degli Stati Uniti e dell’Unione europea contro Teheran, mentre la Halkbank, controllata dallo
stato turco, avrebbe gestito il trasferimento
di denaro utilizzando una complessa rete.
Non c’è da stupirsi se tra gli arrestati c’è anche l’amministratore delegato della Halkbank, Süleyman Aslan, nella cui abitazione
sarebbero state trovate le famose scatole
da scarpe piene di dollari. Un altro sospettato illustre è Riza Sarraf, ricco commerciante d’oro iraniano, conosciuto in precedenza come Reza Zarrab e accusato di aver
corrotto politici di spicco.
I mezzi d’informazione vicini all’Akp
sostengono  che  l’accordo  segreto  con
l’Iran fosse nell’interesse del paese, e che il
denaro trovato nelle abitazioni sarebbe
stato usato per inanziare progetti di beneicenza come la costruzione di scuole. Inoltre dietro questa manovra si nascondereb be Israele. In base a questa teoria lo stato
ebraico e le sue lobby americane, principali nemici dell’Iran e del legame tra Teheran
e Ankara, sono all’origine dell’inchiesta
sulla corruzione. Il fatto che il movimento
di Gülen abbia accuratamente evitato di
alimentare il sentimento antiisraeliano
all’interno dei circoli islamici turchi viene
presentato come una prova a sostegno del
coinvolgimento di Israele nella vicenda. I
quotidiani vicini al governo sono pieni di
articoli che dipingono il movimento come
la quinta colonna o il cavallo di Troia del
sionismo.
Sulla vicenda i liberali sono divisi. Molti di loro si sono allontanati dall’Akp ancora
prima delle proteste contro la ristrutturazione del parco Gezi dell’estate scorsa, e
dunque sostengono l’inchiesta sulla corruzione e sembrano appoggiare Gülen. Tuttavia altri esponenti progressisti continuano a sostenere l’Akp perché sperano in un
esito positivo del processo di pace con il
Pkk. Questo secondo gruppo inoltre continua a temere lo “stato nello stato” e le posizioni da falco di Gülen riguardo alla questione curda.
Nel frattempo la maggior parte degli
altri gruppi islamici (nessuno dei quali paragonabile al movimento di Gülen in termini di notorietà e forza politica) è fedele a
Erdoğan, mentre i laici accusano i due
principali schieramenti islamici di aver distrutto la repubblica.
Chi vincerà?A questo punto il concetto di
vittoria appare relativo. Il movimento di
Gülen non è un partito politico, e non c’è
nessun altro partito con cui potrebbe andare d’accordo. Per questo molti pensano che
il movimento non voglia colpire l’Akp ma
solo Erdoğan, nella speranza che l’uscita di
scena del leader possa smussare l’autoritarismo del partito al potere.
Comunque vada a inire, sarà una vittoria di Pirro. Se Erdoğan riuscirà a schiacciare il movimento, come prevedono diversi osservatori, inirà col perdere molti
voti e indebolire le sue credenziali democratiche. Se prevarrà Gülen, sarà la prova
che il movimento dispone di un grande potere all’interno dello stato, e questo comprometterà la sua posizione come espressione  moderata  dell’islam  culturale.  In
entrambi i casi a farne le spese sarà la stabilità politica ed economica della Turchia,
per non parlare dello stato di diritto e della
pace sociale. In Turchia, insomma, è in
corso una guerra che non avrà vincitori.
Proprio il genere di guerra che si combatte
con più passione. u as
Mustafa Akyol  è un giornalista turco.
Scrive regolarmente per i quotidiani turchi
Star e Hürriyet e collabora con il New York
Times.

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