mercoledì 7 maggio 2014

988 - Makoto Fukue Maestro di sushi Secondo la tradizione ci vogliono dieci anni per diventare uno chef di sushi. Con la sua accademia di Tokyo ha dimostrato che bastano pochi mesi Saiji Ugajin, Business Nikkei, Giappone

I
n una strada secondaria vicino a
un  grattacielo  nel  quartiere  di
Shinjuku, a Tokyo, c’è la Tokyo
sushi academy. È una scuola professionale per aspiranti chef di
sushi, fondata e diretta da Makoto
Fukue. Al primo piano ci sono le aule per le
esercitazioni, dove ogni giorno si tengono
lezioni di  edomaezushi(il tipo più difuso di
sushi, nato a Edo, l’antica Tokyo).
“Quando tutti gli ingredienti sono pronti, cominciate a prendere il riso”, ordina il
maestro. Un gruppetto di quindici persone
comincia a maneggiare il riso sincronicamente. Ogni studente appoggia le polpette
di riso sul vassoio da sushi che ha di fronte,
ma il modo in cui muovono le mani è impacciato, aferrano il riso troppo lentamente e le polpette sono irregolari.
Questa classe ha cominciato le lezioni
in ottobre ed è formata da adolescenti e
quarantenni, neodiplomati e impiegati da
poco in pensione: molti di loro non solo non
hanno mai lavorato in un ristorante, ma addirittura non hanno mai preso in mano un
coltello da cucina.
A questo corso per diventare chef di sushi oggi sono iscritte 32 persone. Il pro gramma prevede tre lezioni al giorno tre
volte alla settimana per un anno intero.
Ogni lezione dura un’ora e quaranta minuti, e la prima comincia alle 8.30 del mattino.
Si impara come maneggiare il tonno, la seriola, lo sgombro o il salmone, come lavorare il riso e preparare ricette per fare i makimono(rotoli di riso ripieni avvolti nelle alghe). Inoltre ci sono lezioni di scienze della
nutrizione e lezioni per conoscere le caratteristiche degli ingredienti, oltre che approfondimenti sulla cucina e sui distillati giapponesi.
La cottura perfetta
Si dice che ci vogliano tre anni per imparare
a cuocere il riso e otto per imparare a lavorarlo, e che prima di poter lavorare come
chef di sushi in modo autonomo servano
più di dieci anni di tirocinio. All’accademia
del sushi, invece, il principale vantaggio è
di poter imparare le tecniche e i modi per
lavorare il riso in un anno, se non addirittura in soli due mesi. Fukue non mette completamente in discussione la lunga e severa
gavetta che si fa nei ristoranti di sushi. Ma
ritiene che aidandosi solo al vecchio sistema sarà sempre più difficile diffondere
quest’arte tra i giovani. Per questo ha penMakoto
Fukue
Maestro
di sushi
Secondo la tradizione
ci vogliono dieci anni per
diventare uno chef di sushi.
Con la sua accademia
di Tokyo ha dimostrato che
bastano pochi mesi
Saiji Ugajin, Business Nikkei, Giappone
Ritratti
sato di creare un programma per diventare
professionisti in poco tempo.
La scuola è aperta ormai da dieci anni.
Nonostante un corso annuale costi circa 1,5
milioni di yen (dodicimila euro), e uno di
due mesi circa 830mila yen (6.600 euro), il
programma riscuote grande successo visto
che il numero degli iscritti per ogni corso
supera il numero di posti a disposizione.
Sta crescendo anche la presenza di stranieri che arrivano dal Perù, dalla Cina, dalla
Spagna o dalla Croazia per iscriversi. Ci
sono anche molti giapponesi che vogliono andare a lavorare all’estero. Tra i 1.883 diplomati all’accademia ino a oggi, 96 sono
stranieri e 500 sono i giapponesi che adesso lavorano in ristoranti all’estero (da dove
arrivano ogni anno più di cento oferte di
lavoro). In altre parole, l’Accademia sta diventando  un  punto  di  riferimento  per
l’esportazione di chef di sushi dal Giappone. Ma la strada che Fukue ha percorso ino
a qui non è stata facile.
Nato nel 1967, Fukue è cresciuto nella
prefettura di Toyama, nel Giappone centrale, e ha frequentato l’università di Kanaz  wa. I suoi amici aspiravano a diventare funzionari pubblici o banchieri, ma Fukue era
diverso. Fin da piccolo aveva osservato il
lavoro del padre, un artigiano che dipingeva tessuti tradizionali Kaga Yūzen. È stato
in quel periodo che ha cominciato a pensare come un giorno avrebbe sfruttato ciò che
aveva imparato. All’inizio aveva pensato di
fare il consulente amministrativo e, una
volta laureato, è andato a lavorare alla Tkc,
una grossa azienda di sistemi contabili. Dopo cinque anni passati a girare tra negozi e
piccole fabbriche locali, gli è venuta un’altra idea. Più che un semplice amministratore, voleva diventare uno specialista in grado di ascoltare le perplessità dei vari consulenti e riuscire a dargli i consigli più adatti.
E così, nel 1995, ha ottenuto un lavoro
nel centro di ricerca di un’azienda di consulenza amministrativa di Meguro, a Tokyo.
Era una ditta di piccole dimensioni, con appena qualche decina di dipendenti, che
concentrava la sua attività sulla messa a
punto di sistemi di controllo aziendale.
Grazie a queste informazioni i consulenti
formulavano soluzioni specifiche con le
quali aiutavano le piccole e medie imprese.
Questo lavoro coincideva con le aspirazioni
di Fukue, afascinato dal fatto di poter imparare le strategie di gestione di un’impresa, un prerequisito per lavorare in modo
autonomo.
Da quel momento la vita di Fukue è
cambiata. Il responsabile del laboratorio di
ricerca in cui lavorava, Eikō Watanabe, era
il consulente per alcuni ristoranti di sushi a
Machida. All’epoca Watanabe si occupava
di una trentina di locali e aveva anche organizzato un seminario sulla gestione aziendale dei ristoranti di sushi e di altre specialità  tradizionali,  facendosi  un  nome
nell’ambiente. Due anni dopo l’arrivo di
Fukue, Watanabe decise di cedergli il suo
posto: “Fukue, sei una persona sempre sorridente e onesta. Sei bravo a capire le esigenze dei ristoratori, diicili da accontentare,  e  piaci  a  molti  di  loro”.  Leggendo
l’enorme quantità di appunti che gli avev  lasciato, Fukue è rimasto sorpreso dallo
sforzo costante di Watanabe di mettersi nei
panni dell’interlocutore e della sua grande
capacità di capire i problemi di chi gli stava
di fronte.
Fukue  ha  accettato  la  responsabilità
senza esitazione, ma non sono mancati i
momenti di perplessità. Sapeva che i ristoranti di sushi sono soprattutto imprese a livello familiare e che i proprietari in cerca di
consulenti sono pochi. Si chiedeva se sarebbe stato possibile vivere solo grazie a
questo mercato. La sua fortuna è stata quella di trovarsi a lavorare in un momento storico favorevole. Nel 1997, infatti, il Giappone risentiva delle conseguenze dell’esplosione della bolla economica e cresceva il
numero di ristoranti in cerca di aiuto per la
gestione. Molti avevano perso clienti, pur
senza aver alzato i prezzi. All’epoca si chiudeva un occhio anche se i ristoranti non
esponevano il menù e non avevano una
contabilità del tutto trasparente.
La svolta
In un periodo di depressione economica i
consumatori non mettono mano al portafoglio facilmente e cambiano le loro abitudini. Inoltre in quel periodo sono spuntati i
sushi bar: catene di locali a basso prezzo e
di qualità accettabile che aprivano nelle periferie delle città. I proprietari dei ristoranti
tradizionali, convinti all’inizio che queste
nuove attività non avessero niente a che
fare con le loro, cominciarono a considerarli una minaccia. “Di questo passo gli afari
andranno sempre peggio, deve darmi assolutamente qualche consiglio”, gli chiedevano i clienti. Fukue era ormai deciso a diventare uno specialista del settore del sushi e
ha cominciato a frequentare l’ambiente e a
studiarlo. Cercava i ristoranti più rinomati
e ne visitava due o tre al giorno, arrivando a
vederne da cinquecento a mille ogni anno.
Nei locali dove i proprietari si ostinavano a non esporre il menù, i clienti erano pochi. Fukue ci entrava e cominciava a chiacchierare con il proprietario sull’andamento
degli afari. In questo modo è riuscito a raccogliere una grande quantità di informazioni fondamentali per il suo lavoro di consulente.
Uno dei clienti di Fukue era Hideo Haijima, il titolare dell’Edokko sushi, che gestiva sei locali, tra cui uno nel quartiere di
Kanda, a Tokyo, un’attività avviata nel 1957
dai suoi genitori. All’epoca dell’incontro
con Fukue, gli afari di Haijima andavano
male. “Abbiamo gestito la contabilità in
modo artigianale e gli incassi sono andati a
picco”, confessò Haijima. Vendeva so  bottiglie di birra e alcolici giapponesi ricercati. Fuori del locale erano accatastate casse di birra che gli davano un aspetto vecchio
e squallido. Ma la situazione è migliorata
dopo l’arrivo di Fukue come consulente, il
quale sapeva che nei ristoranti di sushi lavorano molti professionisti con idee conservatrici ed erano pochi quelli disposti ad
accettare i suoi consigli. Invece di ostinarsi
a ribattere, invitava Haijima e gli altri professionisti ad andare a mangiare in risto ranti dove gli afari andavano meglio. Spiegava che per rendersi conto della realtà bisognava vederla con i propri occhi. Osservando i colleghi, si sarebbero resi conto di
cosa non funzionava da loro.
Tra i ristoranti per cui ha lavorato c’è
anche il famoso Umegaoka sushi no midori di Setagaya, a Tokyo, dove le porzioni
sono abbondanti, la qualità buona e i prezzi ragionevoli. Il proprietario aveva aperto
diversi ristoranti di successo nella capitale.
Anche in questo caso Fukue è intervenuto
dalla gestione dell’azienda a quella dei
menù.
Il peso della tradizione
Nel 2000 aveva ormai accumulato molti
risultati positivi e ha deciso di mettersi in
proprio. Si stava rendendo conto del problema fondamentale del settore della ristorazione: la gavetta per diventare chef di
sushi. I praticanti dovevano prestarsi ogni
giorno a fare i lavori più umili, sgobbando
per anni dalla mattina alla sera. Nei ristoranti nessuno gli insegnava a preparare il
sushi, ma dovevano in qualche modo carpire il segreto di quest’arte osservando chi
aveva più esperienza di loro. Per Fukue era
chiaro che si trattava di un metodo d’insegnamento tradizionale del tutto inadeguato ai tempi.
Fukue stesso, per esercitarsi, aveva lavorato per circa un mese in un ristorante di
sushi di Kanagawa e aveva potuto constatare la violenza con cui i professionisti più
anziani trattavano i tirocinanti. Non era però solo un problema di apprendistato. Con
gli afari che andavano sempre peggio, i ristoranti tagliavano il personale e i professionisti non avevano più tempo per insegnare alle nuove leve.
Per questo Fukue ha proposto a diversi
ristoratori di sushi di aprire una scuola di
cucina. Alcuni hanno accettato e tra questi
c’era Suehiko Shimizu, che all’epoca aveva
62 anni. Dopo il diploma di scuole superiori, Shimizu aveva cominciato a fare pratica
in un locale di sushi e aveva poi lavorato in
altri ristoranti, diventando un veterano della professione. Dopo aver lavorato come
chef a Macao e a Shanghai, e poi in un locale di sushi da asporto a Tokyo, è andato in
pensione, continuando però a insegnare la
preparazione del sushi ai dipendenti parttime del locale.
Pur sapendo che Shimizu aveva anni di
esperienza alle spalle, Fukue gli chiese se
fosse possibile imparare a lavorare il riso
per il sushi in un mese. “Se si tratta solo di
lavorare il riso, è possibile. Basta che l’insegnante si concentri sui fondamentali”, rispose Shimizu. “Bene, allora facciamolo”.
Fukue gli ha proposto di insegnare nella sua
scuola. Così nel giugno del 2002 hanno
inaugurato a Tokyo la Sushi academy. Fukue aveva solo un milione di yen (ottomila
euro) da investire, e li ha usati per prendere
in aitto un ristorante di sushi. Era un ambiente piccolo e accogliente, dove le lezioni
si tenevano al bancone. Niente a che vedere
con le tre ampie stanze per le lezioni pratiche e le numerose aule della Sushi academy
di oggi.
Il primo corso di un mese ha avuto solo
undici iscritti. Con il tempo, però, la notizia
si è difusa su internet e con il passaparola.
Tra gli iscritti c’erano quelli che lasciavano
il  loro  impiego  per  andare  a  lavorare
all’estero, consapevoli che “per uno chef di
sushi essere giapponese è un vantaggio” e
sperando in un buono stipendio. Jun Miki,
titolare di due ristoranti di sushi in Vietnam, è uno di loro.
Il sushi di Ho Chi Minh
Dopo aver lavorato per un’azienda giapponese a Ho Chi Minh city, Miki voleva avviare un’impresa in Vietnam. Dato il rapido
sviluppo economico del paese aveva pensato che un ristorante di sushi sarebbe stato
una buona opportunità di guadagno. Ma
fare arrivare un cuoco dal Giappone era difficile e costoso. Saputo della Sushi academy, nel 2004 è tornato in Giappone per
due mesi e ha frequentato la scuola. Dopo il
diploma ha fatto pratica in un ristorante di
sushi e nel 2005 ha aperto ad Hanoi Sushi
Tokyo: dietro il bancone c’era lui a preparare il sushi e ha insegnato il mestiere anche
al personale vietnamita.
“In  classe  dovevamo  preparare  ogni
giorno duecento polpette di riso a testa. È
stata dura ma dopo il corso intensivo non
solo si è in grado di preparare il sushi, ma
anche di insegnare. Se non ci fosse stata la
Sushi academy avrei dovuto imparare da
solo, ma non so se sarei riuscito ad aprire
un’attività di tale successo”.
Con l’aumento di richieste da parte di
studenti che vogliono andare a lavorare
all’estero, nel 2010 l’accademia ha inaugurato un corso di approfondimento: sono
state aggiunte lezioni di inglese, di enologia
e di strategie gestionali. Nei primi sei mesi
gli studenti erano sette, ma dall’ottobre del
2012 sono diventati 32.
Fukue ha aperto a Shinjuku e a Kanda,
due quartieri di Tokyo, due ristoranti dove
possono esercitarsi gli iscritti e i diplomati.
Nel 2012 ne ha aperto uno anche in China,
nel Guangdong. “Il corso intensivo ti insegna a maneggiare il riso, ma buona parte
della tecnica deriva da lunghi anni di esperienza. Anche la capacità di fare conversazione con i clienti seduti al bancone è importante  e  bisogna  esercitarla”,  insiste
Fukue.
Far fruttare l’esperienza
Fukue sta pensando di usare la sua esperienza di consulente per aiutare i diplomati
che vogliono aprire un ristorante. Inoltre ha
intenzione di aprire un’altra accademia a
Singapore dove si terranno lezioni in inglese per attirare studenti da tutto il mondo.
Dato che molti stranieri iscritti alla scuola
sono imprenditori che hanno intenzione di
aprire un ristorante, Fukue ha anche creato
degli spazi durante i corsi per fornire gli
strumenti necessari ad aprire una propria
attività.
Grazie a questo senso dell’innovazione,
l’accademia continua a mandare all’estero
i diplomati giapponesi e a dare un’opportunità ai ragazzi di tutto il mondo che vogliono aprire un ristorante di sushi. L’attività di
Fukue, cominciata per colmare una mancanza di chef di sushi in Giappone, adesso
si sta difondendo in tutto il mondo. Si può
dire che Fukue è riuscito a esportare l’industria del sushi.  u

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