martedì 27 maggio 2014

990 - Contro le donne Rebecca Solnit, TomDispatch, Stati Uniti Foto di Gabriele Galimberti e Pietro Chelli In famiglia, a scuola, in strada, in caserma. Ogni giorno nel mondo le donne sono vittime di violenza. Nessuno ne parla. Ma è un problema di diritti umani e civili che riguarda tutti

egli Stati Uniti, dove uno
stupro  è  denunciato
ogni  6,2  minuti  e  una
donna su cinque è vittima di uno stupro o di un
tentato stupro nel corso
della vita, la terribile storia della ragazza
violentata e uccisa su un autobus di New
Delhi, il 16 dicembre 2012, è stata presentata come un fatto eccezionale. Eppure proprio in quei giorni si cominciava a parlare
del presunto stupro di un’adolescente priva
di sensi aggredita dai giocatori della squadra di football del liceo di Steubenville, in
Ohio. Dalle nostre parti gli stupri di gruppo
non sono rari. Qualche esempio: a novembre sono stati condannati alcuni dei venti
uomini che hanno stuprato una bambina di
11 anni a Cleveland, in Texas, mentre l’istigatore dello stupro di gruppo di una sedicenne a Richmond, in California, è stato
condannato a ottobre e quattro uomini che
avevano stuprato una ragazza di 15 anni vicino a New Orleans sono stati condannati
ad aprile. I sei che hanno stuprato una ragazza di 14 anni a Chicago nell’autunno del
2012, invece, sono ancora latitanti. Non ho
dovuto cercare queste notizie: sono su tutti
i mezzi d’informazione, anche se nessuno
pensa a collegarle e a spiegare che siamo di
fronte a uno schema ricorrente.
E invece la violenza contro le donne è
uno schema ricorrente ampio, radicato,
terribile e sistematicamente ignorato. A
volte, se il caso coinvolge una celebrità o
presenta qualche particolare scabroso, se
ne parla di più, ma come fosse un’anomalia, mentre la valanga di notizie di secondo
piano sulle donne vittime di violenza negli
Stati Uniti, in altri paesi, in tutti i continenti
compreso l’Antartide, formano una sorta di
rumore di sottofondo. Se gli stupri sugli autobus  vi  interessano  più  degli  stupri  di
gruppo, allora ci sono lo stupro di una disabile mentale su un autobus di Los Angeles
a novembre e il rapimento di una ragazza di
16 anni autistica su un treno regionale a
Oakland, in California (è successo quest’inverno, e il rapitore l’ha stuprata per due
giorni di seguito) e uno stupro di gruppo
con diverse vittime su un autobus a Città
del Messico il 19 dicembre. Mentre scrive

vo questo articolo ho letto che un’altra donna era stata rapita su un autobus in India e
stuprata tutta la notte dal conducente e da
cinque suoi amici, ai quali i fatti di Delhi
dovevano essere sembrati una gran igata.
In questo paese e su questa terra gli stupri e le violenze contro le donne non si contano, eppure quasi nessuno ne parla come
di una questione di diritti civili o umani, o
come di una crisi, o anche solo di uno schema ricorrente. La violenza non ha razza,
classe, religione né nazionalità, ma ha un
genere.
Chiariamo subito una cosa: anche se gli
autori di questi crimini sono quasi tutti uomini, non vuol dire che tutti gli uomini siano violenti. La maggior parte non lo è. E
anche gli uomini, naturalmente, subiscono
violenze, spesso per mano di altri uomini, e
qualunque morte violenta, qualunque aggressione è orribile. Ma l’argomento che
voglio trattare ora è l’epidemia di violenze
maschili contro le donne commesse da
persone molto vicine e da estranei.
Tutto tranne il genere
Potrei andare avanti all’infinito. Parlare
dell’aggressione e dello stupro di una donna di 73 anni a Central park, a Manhattan,
sei mesi fa, o del recente stupro di una bambina di quattro anni e di una signora di 83
anni in Louisiana, o del poliziotto di New
York arrestato a ottobre del 2012 perché sospettato di voler rapire, stuprare, cuocere e
mangiare una donna, qualunque donna
(non nutriva un odio personale, a diferenza probabilmente dell’uomo di San Diego
che ha ucciso e cotto sua moglie a novembre e del tizio di New Orleans che ha ucciso, smembrato e cotto la sua ragazza nel
2005).
Questi crimini sono fuori del comune,
ma potremmo parlare delle aggressioni
quotidiane,  perché  anche  se  negli  Stati
Uniti viene denunciato solo uno stupro
ogni 6,2 minuti, il numero reale probabilmente è cinque volte superiore. Vuol dire
che negli Stati Uniti potrebbe esserci quasi
uno stupro al minuto. Stiamo parlando di
decine di milioni di vittime.
Potremmo parlare degli stupri nei licei,
nei college e nelle università, nei confronti
dei quali le autorità mostrano spesso un’agghiacciante apatia, com’è successo nel liceo di Steubenville, alla Notre Dame university, all’Amherst college e in tanti altri
casi. Potremmo parlare dell’esplosione di
stupri,  aggressioni  e  molestie  sessuali
nell’esercito statunitense: secondo il segretario alla difesa Leon Panetta ci sarebbero
state 19mila aggressioni sessuali contro
soldate nel solo 2010, e la stragrande maggioranza degli aggressori l’ha fatta franca.
Ma lasciamo perdere le violenze sul
luogo di lavoro, spostiamoci nelle case.
Ogni anno più di mille uomini uccidono le
loro compagne ed ex compagne, il che signiica che ogni tre anni il numero delle
vittime supera quello delle vittime dell’11
settembre, eppure nessuno dichiara guerra
a questo tipo di terrorismo. Per dirla altrimenti: le 11.766 donne vittime di omicidi
domestici dall’11 settembre a oggi sono più
delle vittime dell’11 settembre e di tutti i
soldati statunitensi uccisi durante la “guerra al terrorismo” messi insieme. Se parlassimo di questi reati e del perché sono tanto
frequenti, dovremmo parlare anche dei
profondi cambiamenti necessari in questa
società, in questo paese, in quasi tutti i paesi. Dovremmo parlare di mascolinità, di
ruoli maschili, forse di patriarcato, e sono
cose di cui non parliamo.
Invece sentiamo  dire che  negli Stati
Uniti gli uomini commettono omicidi-suicidi (circa dodici alla settimana) per colpa
della crisi economica, ma poi li commettono anche quando l’economia è in crescita.
O che in India quegli uomini hanno ucciso
la ragazza sull’autobus perché i poveri ce
l’hanno con i ricchi, ma sempre in India altri casi di stupro sono legati al fatto che i
ricchi sfruttano i poveri. E poi ci sono le
spiegazioni classiche: disturbi mentali, sostanze stupefacenti e, per gli atleti, i traumi
cranici. L’ultima trovata è l’avvelenamento
da piombo, che avrebbe causato gran parte
di queste violenze, solo che entrambi i sessi
sono avvelenati e uno dei due commette la
maggior parte delle violenze. Per spiegare
l’epidemia di violenza si tira in ballo tutto
tranne il genere, tutto tranne quello che
sembra il più ampio schema di spiegazione.
Quando un professore della Washington state university ha scritto che negli Stati Uniti le stragi le commettono soprattutto
uomini bianchi, i commentatori, in gran
parte ostili, si sono sofermati sulla parola
“bianchi”. È raro sentir dire quello che una
ricerca medica, per quanto aridamente, ha
evidenziato: “Diversi studi indicano che il
fatto di essere un uomo è un fattore di rischio di comportamenti criminali violenti
proprio come l’essere esposti al fumo di sigaretta prima della nascita, avere dei genitori antisociali e appartenere a una famiglia
povera”.
Lo schema ricorrente salta agli occhi.
Potremmo deinirlo un problema globale,
se consideriamo l’epidemia di aggressioni,
molestie e stupri a piazza Tahrir, che ha tolto alle donne la libertà celebrata durante la
primavera araba, o della persecuzione delle donne indiane nella sfera privata e pubblica (dal cosiddetto eve teasing– le aggressioni sessuali – all’immolazione delle vedove), o dei “delitti d’onore” nell’Asia meridionale e in Medio Oriente, o di come il
Sudafrica sia diventato una capitale mondiale dello stupro, con una stima di 600mila stupri nel 2012, o di come lo stupro sia
stato usato come tattica e “arma” di guerra
in Mali, in Sudan e nella Repubblica Democratica del Congo, come era già successo
nell’ex Jugoslavia, o della frequenza degli
stupri e delle molestie in Messico e del femminicidio a Ciudad Juárez, o della negazione dei diritti fondamentali delle donne in
Arabia Saudita e della miriade di aggressioni sessuali di cui sono vittime le lavoratrici
domestiche immigrate in quel paese, o di
come  la  reazione  al  caso  Dominique
Strauss-Kahn negli Stati Uniti abbia svelato
l’impunità riservata a lui e ad altri in Francia, ed è solo per mancanza di spazio che
non parlerò del Regno Unito, del Canada,
dell’Italia (con quell’ex presidente del consiglio noto per le sue orge con delle minorenni), dell’Argentina, dell’Australia e di
tanti altri paesi.
Il diritto di ucciderti
Ma  forse siete stanchi delle statistiche,
quindi parliamo di un fatto preciso, avvenuto nella mia città il 7 gennaio 2013, uno
dei tanti fatti di questo tipo segnalati dai
mezzi  d’informazione  locali  a  gennaio:
“Una donna è stata pugnalata dopo aver
respinto le avance di un uomo mentre camminava  nel  quartiere  Tenderloin  di  San Francisco nella tarda serata di lunedì, ha
dichiarato oggi un portavoce della polizia.
La vittima, 33 anni, stava camminando per
strada quando un estraneo l’ha avvicinata,
ha spiegato l’uiciale di polizia Albie Esparza. Quando la donna l’ha respinto, l’uomo
si è alterato, ha colpito la donna al viso e
l’ha pugnalata al braccio”.
Per quell’uomo, la vittima prescelta non
aveva diritti né libertà, mentre lui aveva il
diritto di controllarla e di punirla. E questo
ci ricorda che la violenza è innanzitutto autoritaria. Comincia dalla premessa: io ho il
diritto di controllare la tua vita.
L’omicidio è la forma estrema dell’auto


Gli stupri
di piazza Tahrir


I
l 25 gennaio 2013, al centro del
Cairo, una donna è stata aggredita e ferita ai genitali con
un coltello nel bel mezzo di
quella che avrebbe dovuto essere una manifestazione rivoluzionaria.
Secondo le informazioni raccolte
dall’organizzazione Operazione antistupro, è stata una delle 19 donne aggredite sessualmente nella piazza e
nelle strade circostanti. Alcune di lorsono state spogliate e violentate in pubblico con le mani, altre minacciate con i
coltelli. Sei di loro sono state portate in
ospedale. E senza dubbio ci sono stati altri episodi dei quali non è giunta notizia.
Nel novembre del 2011 una coraggiosa
vittima di un’aggressione simile ha pubblicato la sua storia sul sito del gruppo
femminista Nazra: “Ricordo solo che
c’erano centinaia di mani che mi spogliavano e violavano brutalmente il mio corpo. Non c’era via d’uscita, perché tutti dicevano che mi avrebbero protetta e salvata, ma intorno a me sentivo solo quelle
mani che mi toccavano, quelle dita che
mi stupravano, davanti e dietro, qualcuno
ha cercato perino di baciarmi. Ero completamente nuda, sono stata spinta dalla
folla che mi circondava in un vicolo vicino al ristorante Hardee. Mi si stringevano
intorno. Ogni volta che cercavo di strillare, di difendermi, di chiedere aiuto, la loro violenza aumentava”.
La sera del 25 gennaio, stavo passando
per la piazza, nella zona dove di solito
montano il palco, cominciava a fare buio
e ho assistito a un altro episodio simile. A
una trentina di metri di distanza si era
formato un mulinello di persone, con una
donna sulla quarantina, chiaramente
egiziana, al centro. Cerchi concentrici di
uomini le giravano intorno e lei urlava.
Ho cercato di avvicinarmi facendomi
strada tra la folla.
Alla ine quelli che la circondavano
l’hanno spinta verso le sbarre. Lei continuava a strillare. Ero ormai a pochi metri
di distanza quando l’ho persa di vista, era
stata gettata a terra. Quando è ricomparsa era nuda e le si leggeva il terrore sul
volto. Ho provato ad avvicinarmi, ma non
si riusciva a capire chi la stesse attaccando e chi cercasse di aiutarla. Molti sostenevano di volerlo fare ma poi partecipavano all’aggressione.
Ho individuato un ragazzo che senza
dubbio era tra gli aggressori, l’ho preso
per una spalla e l’ho tirato via. Si è girato
verso di me, mi aspettavo un pugno, o almeno un ghigno. Invece mi ha sorriso. A
un certo punto, il corpo nudo della donna
è stato piegato in avanti sulle sbarre che
dividono i marciapiedi della piazza dalla
strada.
L’ho persa nuovamente di vista, ho
pensato che fosse stata trascinata al di là
delle sbarre e ho cercato di andare dall’altra parte. Non so se mi ero sbagliato, o come e perché fosse tornata indietro, ma
quando l’ho rivista era sull’asfalto, inalmente difesa da due o tre energumeni
che usavano le loro cinture come fruste.
Alla ine, un’ambulanza è riuscita a farsi
strada tra la folla e l’ha caricata.
Mentre mi allontanavo, qualcuno mi
ha chiesto cos’era successo. “Uno stupro,
molto violento”. E ogni volta, c’era qualcuno che interveniva e negava quello che
era accaduto a pochi metri da lì.ritarismo, quella in cui qualcuno si arroga il
diritto di decidere se vivrai o morirai, il
massimo controllo che una persona possa
esercitare sull’altra. Ed è così anche quando l’altra “obbedisce”, perché il desiderio
di controllo nasce da una rabbia che l’obbedienza  non  può  placare.  Dietro  questo
comportamento possono esserci paure e
senso di fragilità, ma rimane un arrogarsi il
diritto di infliggere sofferenza e perfino
morte all’altra persona. È una disgrazia per
gli autori e per le vittime.
Tornando al caso di cronaca nella mia
città, fatti simili succedono spessissimo. A
me è capitato varie volte quando ero più
giovane, a volte nella variante “minacce di
morte”,  spesso  nella  variante  “fiumi  di
oscenità”: un uomo abborda una donna
mosso dal desiderio e al tempo stesso rabbiosamente pronto a essere respinto. La
rabbia e il desiderio sono inseparabili, formano un intreccio che minaccia sempre di
trasformare l’eros in thanatos, l’amore in
morte, a volte in senso letterale.
È un sistema di controllo. Per questo
tante vittime di omicidi domestici sono
donne che hanno osato lasciare il loro partner. Per questo tante donne sono in trappola, e anche se l’aggressore del 7 gennaio, o
l’autore di un violento tentativo di stupro
nel mio quartiere il 5 gennaio, o l’autore di
un altro stupro da queste parti il 12 gennaio,
o l’uomo di San Francisco che il 6 gennaio
ha dato fuoco alla sua ragazza perché aveva
riiutato di fare la lavatrice, o l’uomo che è
appena stato condannato a 370 anni di carcere per alcuni stupri particolarmente brutali commessi nel 2011, anche se tutti questi
uomini potrebbero essere deiniti dei marginali, le stesse cose le fanno gli uomini
ricchi, famosi e privilegiati.
A settembre il viceconsole giapponese a
San Francisco è stato incriminato con dodici capi di accusa per violenze coniugali e
aggressione con un’arma letale, e lo stesso
mese, nella stessa città, l’ex compagna di
Mason Mayer (fratello dell’amministratrice delegata di Yahoo, Marissa Mayer) testimoniava in tribunale: “Mi ha strappato gli
orecchini e le ciglia e mi ha sputato in faccia, dicendomi quanto ero spregevole. Ero
a terra, in posizione fetale, e quando provavo a muovermi mi stringeva più forte i ianchi con le ginocchia e mi schiafeggiava”.
Secondo il San Francisco Gate, “Mayer le
ha sbattuto ripetutamente la testa sul pavimento, strappandole ciocche di capelli e
dicendole  che  non  sarebbe  uscita  viva
dall’appartamento  a  meno  che  lui  non
l’avesse portata sul Golden gate bridge ‘dove ti potrai buttare o ti butterò giù io’”. Mason Mayer ha ottenuto la condizionale.
L’estate scorsa un uomo ha violato il divieto di avvicinamento alla moglie che lo
aveva lasciato, sparando a lei e ad altre sei
donne nel centro benessere in cui lavoravano, nella periferia di Milwaukee, ma dato
che c’erano solo quattro cadaveri, in un anno pieno di stragi spettacolari, la cosa non
ha colpito i mezzi d’informazione (e ancora
non abbiamo parlato del fatto che, delle
sessantadue sparatorie di massa registrate
negli ultimi trent’anni negli Stati Uniti, solo
una è stata opera di una donna, e visto che
ci siamo quasi due terzi di tutte le donne
vittime di armi da fuoco sono uccise dai loro partner o ex partner).
“What’s love got to do with it”, si chiedeva Tina Turner, il cui ex marito Ike una
volta disse: “Sì, la picchiavo, ma non più di
quanto un uomo normalmente picchi la
moglie”. Una donna è picchiata ogni nove
secondi negli Stati Uniti. Avete letto bene:
non ogni nove minuti, ogni nove secondi. È
la prima causa di ferite tra le donne americane. Secondo il Center for desease control, dei due milioni di donne ferite ogni
anno, mezzo milione ha bisogno di cure
mediche e circa 145mila passano una notte
in ospedale, e vi risparmio i particolari sui
successivi interventi odontoiatrici. Negli
Stati Uniti i mariti sono anche la causa principale di morte tra le donne incinte.
“In tutto il mondo le donne tra i quindici
e i quarantaquattro anni hanno più probabilità di essere uccise o menomate dalla
violenza maschile che dal cancro, la malaria, la guerra e gli incidenti automobilistici
messi insieme”, scrive Nicholas D. Kristof,
una delle poche irme note ad afrontare
spesso l’argomento.
Lo stupro e altri atti di violenza (finoall’omicidio), così come le minacce di violenza, sono il fuoco di sbarramento che alcuni uomini aprono nel loro tentativo di
controllare alcune donne, e la paura di questa violenza limita molte donne in modi di
cui non si rendono più conto, e di cui non
parla quasi nessuno. Esistono delle eccezioni: nell’estate del 2012 qualcuno mi ha
raccontato di un corso in cui gli studenti di
un college dovevano spiegare come si proteggevano dai rischi di stupro. Le ragazz avevano descritto i mille modi in cui cercavano di essere vigili, riducevano i loro contatti con il mondo, prendevano precauzioni
e, di fatto, pensavano di continuo allo stupro. I ragazzi avevano ascoltato con la bocca spalancata. Per un attimo l’abisso tra i
loro mondi era diventato visibile.
Di solito, però, non se ne parla. A un certo punto in rete ha girato un elenco, “Dieci
consigli per mettere ine agli stupri”, il classico messaggio che le ragazze ricevono
spesso, ma con un approccio inedito. Uno
dei consigli era: “Porta un ischietto! Se temi di aggredire qualcuno ‘per sbaglio’, potrai darlo alla persona con cui ti trovi e lei
chiamerà aiuto”. Per quanto divertente,
l’elenco mette in luce un dato terribile: questo tipo di raccomandazioni in genere carica tutto il peso della prevenzione sulle spalle delle potenziali vittime, dando per scontata la violenza. Qualcuno mi spiega perché
i college passano più tempo a dire alle ragazze come sopravvivere alle aggressioni
che a dire all’altra metà dei loro studenti di
non aggredire le donne?
Ormai le minacce di violenza sessuale
sono frequenti anche online. Alla ine del
2011 l’opinionista britannica Laurie Penny
scriveva: “A quanto pare, un’opinione è la
minigonna di internet. Averne una e mostrarla è un po’ come chiedere a una massa
amorfa e quasi interamente maschile iche modo vorrebbe stuprarti, ucciderti e
pisciarti addosso. Questa settimana, dopo
una lunga serie di minacce particolarmente pesanti, ho deciso di rendere pubblici
alcuni di quei messaggi su Twitter, e sono
stata subissata di risposte. Molti non riuscivano a credere che ricevessi messaggi così
pieni di odio, e molti altri hanno cominciato a raccontarmi le loro storie di molestie,
intimidazioni e abusi” (Internazionale 927,
8 dicembre 2011).
Nelle comunità di giochi online le donne  vengono  molestate,  minacciate  ed
escluse. Anita Sarkeesian, una critica femminista  canadese  che  ha  documentato
questo fenomeno, ha ricevuto molta solidarietà ma anche, come spiegava una giornalista,  “una  nuova  ondata  di  minacce
personali e davvero violente. C’è chi ha
provato a piratare i suoi account e un tizio
dell’Ontario ha addirittura creato un gioco
online in cui l’utente può prendere a pugni
l’immagine di Anita. E dopo qualche pugno
si vedono apparire lividi e ferite”. Tra questi giocatori e i taliban che, nell’ottobre del
2012, hanno tentato di uccidere Malala
Yousafzai, 14 anni, colpevole di aver difeso
il diritto all’istruzione delle donne pachistane, esiste solo una diferenza di grado.
In entrambi i casi degli uomini vogliono
zittire e punire delle donne che chiedono
libertà di espressione, potere e diritto di
partecipazione. Benvenuti in Maschistan.
I diritti degli stupratori
Il fenomeno non è solo pubblico, privato o
online. È radicato nel nostro sistema politico e nel nostro ordinamento giuridico che,
prima delle battaglie femministe, praticamente non riconosceva il reato di violenza
domestica, né tanto meno le molestie sessuali, lo stalking, lo stupro commesso da
un uomo con cui si aveva appuntamento,
da un conoscente o dal marito, e che in alcuni casi ancora mette sotto processo la
vittima invece dell’aggressore, come se solo le educande potessero essere aggredite o
credute.
Come  abbiamo  scoperto  durante  la
campagna elettorale del 2012, è anche radicato nella mente e nella bocca dei politici
statunitensi. Ricorderete il iume di assurdità  sparate  da  alcuni  repubblicani  tra
l’estate e l’autunno dell’anno scorso, co minciando dalla celebre afermazione di
Todd Akin secondo cui una donna sa come
non rimanere incinta durante uno stupro.
All’inizio del 2013, i repubblicani del congresso hanno rifiutato di reintrodurre la
legge sulla violenza contro le donne perché
erano contrari alle tutele che ofriva all donne immigrate, transgender e native
americane. A proposito di epidemie: una
donna nativa americana su tre subisce uno
stupro o un tentativo di stupro nel corso
della vita, e nelle riserve l’88 per cento di
questi stupri è commesso da uomini non
nativi che sanno di poter sfuggire alle incriminazioni dei tribunali tribali.
I repubblicani vogliono anche spazzar via i diritti riproduttivi, dal controllo della
nascita all’aborto, come hanno già fatto in
vari stati negli ultimi dieci anni. Ovviamente per “diritti riproduttivi” s’intende il diritto delle donne di disporre del proprio corpo. Come abbiamo già detto, la violenza
contro le donne è una questione di controllo.
E se da un lato le indagini sui casi di stupro brillano per la loro lentezza, dall’altro
gli stupratori che mettono incinta una donna possono esercitare la potestà genitoriale
in trentuno stati.
Naturalmente anche le donne sono capaci di cattiverie di ogni tipo e possono
commettere crimini violenti, ma se parliamo di violenza nella cosiddetta guerra dei
sessi lo squilibrio è plateale. A diferenza
del precedente direttore (uomo) del Fondo
monetario internazionale, l’attuale direttore (donna) non aggredirà un’impiegata di
un albergo di lusso; nell’esercito statunitense le uiciali di alto grado, a diferenza
dei colleghi uomini, non sono accusate di
aggressioni sessuali; ed è diicile immaginare delle giovani atlete che, come hanno
fatto i giocatori di football di Steunbenville,
urinano su dei ragazzi privi di conoscenza,
e ancor meno che li violentano e se ne vantano su YouTube e Twitter.
Non mi risulta che in India delle donne
si siano riunite per aggredire sessualmente un uomo su un autobus ino a farlo morire,
o che in Egitto branchi di donne terrorizzino gli uomini a piazza Tahrir, o che esista
un equivalente materno dell’11 per cento di
stupri commessi da padri e patrigni. Il 93,5
per cento dei detenuti nelle carceri statunitensi non sono donne, e se molti di loro non
dovrebbero stare dietro le sbarre, è giusto
che i violenti ci stiano, almeno ino a quando non avremo trovato un modo migliore
di gestire la violenza, e quindi loro stessi.
Nessuna pop star donna ha sparato alla
testa di un ragazzo dopo averlo portato a
casa sua, come ha fatto il produttore discograico Phil Spector (oggi fa parte di quel
93,5 per cento per l’omicidio di Lana Clarkson, che a quanto pare aveva riiutato le
sue avance). Nessuna protagonista di ilm
d’azione è stata accusata di violenze domestiche, perché Angelina Jolie non fa quello
che hanno fatto Mel Gibson e Steve McQueen, e nessuna regista famosa ha drogato un tredicenne prima di aggredirlo sessualmente nonostante lui dicesse “no”,
come ha fatto Roman Polanski.
In memoria di Jhoti Singh
Cos’è che non va nella specie maschile? C’è
qualcosa, nel modo in cui la mascolinità è
immaginata, esaltata e incoraggiata, nel
modo in cui la violenza è trasmessa ai maschi, che dobbiamo deciderci ad afrontare.
In giro ci sono uomini splendidi e afettuosi, e uno dei dati più incoraggianti, in questa fase della guerra contro le donne, è che
tantissimi uomini sono consapevoli, pensano che la cosa riguardi anche loro, si
schierano per noi e con noi nella vita di tutti i giorni, online e nei cortei da New Delhi
a San Francisco.
Gli uomini sono sempre più nostri alleati, e anche in passato abbiamo potuto contare su alcuni di loro. Bontà e gentilezza
non hanno mai avuto un genere, e nemmeno l’empatia. I dati sulle violenze domestiche sono in calo rispetto ai decenni passati
(pur rimanendo spaventosamente alti), e
molti uomini sono impegnati a creare nuove idee e nuovi ideali legati alla mascolinità
e al potere.
Gli omosessuali sono miei alleati da
quasi quarant’anni (a quanto pare il matrimonio gay fa orrore ai conservatori perché
è un matrimonio tra pari senza ruoli prestabiliti). Il movimento di liberazione delle
donne è stato spesso presentato come un
tentativo di ledere o di sottrarre potere e
privilegi agli uomini, come se in un lugubre
gioco a somma zero solo un genere alla volta potesse avere libertà e potere. Non è così:
siamo liberi insieme o schiavi insieme.
Preferirei scrivere su altri argomenti,
ma questo incide su tutto il resto. La vita di
metà dell’umanità è ancora segnata, distrutta e a volte annientata da questa onnipresente  forma  di  violenza.  Pensate  a
quanto tempo e a quanta energia potremmo dedicare ad altre cose importanti se
non fossimo così impegnate a sopravvivere. Vi faccio un esempio: una delle migliori
giornaliste che io conosca vive nel mio
quartiere e la sera ha paura di tornare a casa
da sola. Deve smettere di lavorare ino a
tardi? Quante donne hanno rinunciato al
loro lavoro, o sono state costrette da altri a
rinunciare, per motivi simili?
Oggi uno dei movimenti politici più entusiasmanti del mondo è il movimento per
i diritti dei nativi canadesi Idle no more, di
orientamento femminista e ambientalista.
Il 27 dicembre 2012, poco dopo il suo lancio, una donna nativa è stata rapita, stuprata e picchiata a Thunder bay, nell’Ontario.
I suoi aggressori, che l’hanno abbandonata
credendola morta, hanno lasciato intendere che la loro era una ritorsione contro Idle
no more. La donna ha camminato per quattro ore, sopravvivendo al gelo, e ha potuto
raccontare la sua storia. I suoi aggressori,
che hanno minacciato di rifarlo, sono ancora latitanti.
Lo stupro e l’omicidio a New Delhi di
Jhoti Singh, la ragazza ventitreenne che
studiava isioterapia per poter andare avanti nella vita e aiutare gli altri, e l’aggressione
del suo ragazzo (che è sopravvissuto), sembrano aver scatenato la reazione che aspettavamo da cento, forse mille, forse cinquemila anni. Che Jhoti possa essere per le
donne – e gli uomini – quello che Emmett
Till, assassinato dai suprematisti bianchi
nel 1955, è stato per gli afroamericani e per
l’allora giovane movimento per i diritti civili negli Stati Uniti.
Negli Stati Uniti vengono commessi oltre 87mila stupri all’anno, eppure ognuno è
presentato come un caso isolato. I punti sono così ravvicinati da formare una macchia,
ma nessuno li collega o indica la macchia.
In India l’hanno fatto. Hanno detto che
questo è un problema di diritti civili e di diritti umani, un problema che riguarda tutti,
un problema che non è isolato e che non
sarà mai più considerato accettabile. Le cose devono cambiare. Sta a voi cambiarle, a
me, a noi. u fs
L’AUTRICE
Rebecca Solnitè una scrittrice
statunitense. Il suo ultimo libro pubblicato
in Italia è Un paradiso

 

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