giovedì 24 aprile 2014

985 - La ricerca sull’inluenza si rimette in moto

Avevano manipolato un virus
dell’inluenza rendendolo più
letale. Dopo un anno di
sospensione, gli scienziati
hanno deciso di riprendere gli
esperimenti. Ecco perché



A
gennaio del 2012 molti ricercatori che studiavano l’inluenza
hanno appeso il camice al chiodo, o almeno hanno messo da
parte quei lavori che puntavano a rendere i
ceppi letali dell’aviaria ancora più letali,
permettendogli  di  trasmettersi  da  un
mammifero all’altro.
Un anno dopo hanno deciso di sospendere la moratoria che si erano imposti. In
una lettera pubblicata il 23 gennaio sulla rivista britannica Nature e su quella statunitense Science, gli autori di questi studi contestati  hanno  spiegato  che,  dopo  molte
consultazioni in tutto il mondo, sono arrivati alla conclusione che i beneici prodotti
dai loro sforzi superano i rischi.
La pausa volontaria, che in origine doveva durare due mesi, si era resa necessaria proprio perché quei rischi sembravano
concreti. L’H5N1, uno dei virus responsabili dell’inluenza aviaria, è pericoloso. Dei
seicento  casi  diagnosticati  negli  esseri
umani dal 2003 quasi il 60 per cento è stato
mortale. Il ceppo, quindi, è tre volte più letale della “spagnola” del 1918, che fece circa cento milioni di vittime.
L’aviaria non ha battuto quel terribile
record solo perché gli esseri umani possono contrarla unicamente dai volatili (in
genere dai polli): il virus deve ancora imparare a passare da una persona all’altra.
Il clamore che ha imposto la moratoria
si è scatenato dopo la difusione della notizia che Nature e Science stavano per pubblicare  una  ricerca  su  come  insegnare
all’H5N1 a trasmettersi tra i furetti (che,
per quanto riguarda l’inluenza, sono simili agli esseri umani). Tramite il National
scientiic advisory board for biosecurity, il
governo statunitense ha preso la decisione
straordinaria di invitare le due principali
riviste scientiiche mondiali a censurare gli
articoli, per evitare che inissero nelle mani sbagliate o incoraggiassero imprese simili in laboratori male equipaggiati per
gestire agenti infettivi così pericolosi.
Prevenire la natura
Ron Fouchier dell’Erasmus medical center
di  Rotterdam  e  Yoshihiro  Kawaoka
dell’università del Wisconsin a Madison,
coordinatori dei due studi tanto discussi e
coautori della lettera del 23 gennaio insieme a 38 colleghi, hanno sempre sostenuto
che i timori erano eccessivi. Le mutazioni
da loro create potrebbero benissimo evolversi in natura. Capirle, afermano, è cruciale per bloccare sul nascere un’eventuale
pandemia, studiando i ceppi naturali esistenti per trovare le varianti pericolose e
contribuendo a creare vaccini eicaci.
Molti colleghi e autorità sanitarie concordano, come anche i direttori di Nature,
che a maggio dell’anno scorso hanno pubblicato il lavoro del dottor Kawaoka. Quello del dottor Fouchier, il più discusso dei
due, è apparso su Science un mese dopo. A
luglio l’Organizzazione mondiale della sanità ha difuso le linee guida sulle misure di
controllo del rischio che ogni ricerca sulla
trasmissione del ceppo H5N1 deve rispettare, come la garanzia che sia compiuta
solo in laboratori estremamente sicuri approvati dal governo. Le autorità di vari paesi stanno anche riesaminando le condizioni in base a cui un lavoro simile possa
essere permesso nel loro territorio o quando inanziarlo con i loro fondi.
Fouchier e Kawaoka sottolineano che
gli scienziati dei paesi in cui il riesame è
ancora in corso, tra cui gli Stati Uniti, devono aspettare e che nessuno dovrebbe provare a svolgere questo tipo di ricerca “senza strutture adeguate, supervisione e le
necessarie approvazioni”. Gli altri devono
rimettersi al lavoro e raddoppiare gli sforzi
per arginare il bioterrorista più letale di
tutti: la natura.  

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