sabato 26 aprile 2014

986 - Separati dalla crisi Sebastian Gjerding, Information, Danimarca Foto di Davide Monteleone

Avevano trovato l’amore e una nuova patria ad
Atene. Poi è arrivata la recessione. E molte donne
danesi sposate con uomini greci sono tornate a
casa. Il conlitto tra il nord e il sud dell’Europa
raccontato da chi lo vive in prima persona



A
d Atene c’è un gruppo di
donne danesi che, una
sera al mese, s’incontra­
no  per  chiacchierare,
scambiarsi impressioni
o  consigli.  In  comune
hanno una cosa: un marito o un compagno
greco. Molte di loro sono inite in Grecia
per la stessa ragione. Una vacanza estiva su
un’isola che ha segnato l’inizio della più
classica delle storie d’amore: la bionda ra­
gazza danese che s’innamora del romanti­
co ragazzo dell’Europa del sud. C’è chi è
rimasta in Grecia per qualche anno prima
di tornare a casa in Danimarca e chi ha
viaggiato avanti e indietro prima di fermar­
si stabilmente ad Atene. Per anni queste
donne si sono viste periodicamente e in
gruppo:  prima  parlavano  soprattutto
dell’incontro di culture, delle loro famiglie
acquisite, dei bambini e del sistema scola­
stico. Ora discutono quasi solo della crisi
economica che ha trasformato la vita nel
paese. E di chi sarà la prossima a smettere
di lottare e a decidere di tornare dalla fami­
glia, in Danimarca.
“All’inizio pensavo che non sarebbe sta­
to poi così terribile. Che i problemi sareb ­
bero toccati agli altri. Non riesci a capire
una crisi inché non l’hai provata di perso­
na”, dice Mathilde Siert. È alle ultime setti­
mane di gravidanza e se ne sta seduta su un
divano bianco nella sua casa nella zona
nord di Atene. Accanto a lei ci sono altre
due donne del gruppo, mentre suo iglio
guarda la tv dei ragazzi danese al computer
e suo marito, Dimitris Plakas, è in cucina a
preparare il cafè. “Abbiamo cominciato a
preoccuparci quando Dimitris è stato licen­
ziato”, racconta Mathilde. “È stato terribi­
le. Io ero in congedo per maternità e lui mi
ha chiamato per dirmi che tornava a casa.
Gli ho chiesto se non stava bene. Mi ha ri­
sposto che gli avevano appena detto di rac­
cogliere le sue cose e andare a casa”.
Il marito di Mathilde è stato il primo del
gruppo di amici a essere licenziato. Ma do­
po di lui in tutte le altre coppie è capitato
che uno dei due sia rimasto senza lavoro.
La disoccupazione in Grecia ha superato il
25 per cento, e molti hanno subìto riduzioni
di stipendio ino al 50 per cento. All’oriz­
zonte  non  ci  sono  segnali  di  migliora­
mento.
I soldi della suocera
“La penultima volta che ci siamo viste c’era
una delle ragazze del nostro gruppo che an­
cora non era stata toccata dalla crisi. Per lei
tutto continuava a funzionare come sem­
pre. Poi, nell’incontro successivo, ci ha rac­
contato che suo marito era stato licenziato e che a lei avevano tagliato lo stipendio.
Adesso, con due ragazzi di 12 e 14 anni, abitano con i suoceri. Non c’è nessuno a cui
chiedere aiuto. E non ci sono speranze per
il futuro”, spiega Helle Olander Hansen,
sposata con un uomo greco incontrato in
vacanza quasi trent’anni fa. “La classica
storia d’amore”, commenta lei. Le amiche
sorridono. Suo marito è proprietario di diversi ristoranti, ma negli ultimi mesi non
ha potuto pagare lo stipendio ai dipendenti. Eppure loro continuano a presentarsi
ogni mattina al lavoro, perché restare a casa sarebbe un’alternativa ancora peggiore.
“È una situazione spaventosa. Ma questo è
un atteggiamento difuso: anche chi non
riceve lo stipendio va a lavorare lo stesso,
sperando per il meglio. Chi lascia l’impiego
non riesce comunque a trovarne un altro
né a guadagnare soldi altrove”, spiega Helle. Mathilde ha incontrato Dimitris Plakas
su un’isola greca quando frequentava il penultimo anno di liceo. Si è innamorata e ha
rinunciato a un soggiorno di studio già previsto a Parigi in cambio di un corso di greco
moderno ad Atene. Negli anni successivi
ha fatto la spola tra la Danimarca e la Grecia, inché nel 2004 si è trasferita stabilmente ad Atene. “Certo, era soprattutto
per Dimitris che mi piaceva stare qui, ma
anche per la cultura e la mentalità. I greci
sono molto più aperti, rilassati e prendono
le cose come vengono. Dimitris ha anche
una famiglia molto unita, dove ci si aiuta
sempre. A questo non ero abituata”, dice
Mathilde.
L’unità della famiglia è un tratto positivo del paese sul quale insistono tutte le
donne del gruppo. In tempi di crisi, quando
il conto in banca è a secco e il sussidio di
disoccupazione è terminato, sono i risparmi della suocera che aiutano a pagare le
bollette. E non sono soldi presi in prestito.
Sono un regalo. “La coesione della famiglia
è più forte qui che in Danimarca. Qui c’è la
famiglia, in Danimarca c’è il welfare, il che
signiica che se qualcuno si trova in diicoltà le persone che gli sono più vicine non
devono intervenire. In Grecia, invece, è la
presenza della famiglia a darti la sensazione che se cadi c’è qualcuno pronto ad aiutarti”, dice Berit Balzer.
Una famiglia forte è l’unica difesa dal
disfacimento dello stato. Certo, lo stato era
ineiciente già prima della crisi, però negli
ultimi tempi sono aumentate le cose che
non funzionano. Gli scioperi sono sempre
più frequenti e, con la busta paga praticamente dimezzata, molti dipendenti pubblici non hanno più una gran voglia di lavorare. Ma la corruzione era difusa anche prima che cominciassero i problemi economici: non era insolito, per esempio, pagare
sottobanco il medico di un ospedale per
farsi operare.
“Ognuno ha la sua piccola parte di responsabilità nella crisi: tutti, in un modo o
nell’altro, sono stati coinvolti nella corruzione. Ma la colpa per la maggior parte dei
soldi che sono andati perduti o sono stati
rubati è dei politici”, dice Dimitris, che nel
frattempo si è seduto sul divano. “Non era
diicile capire che le cose non andavano
così bene, ma siccome eravamo tutti dentro a un sistema corrotto, abbiamo trovato
un modo per fare ugualmente la bella vita,
senza preoccuparci troppo. Quando poi abbiamo dovuto afrontare i problemi, ormai
erano diventati troppo grandi per poterci
fare qualcosa”, continua.
Anche in Danimarca e nel resto d’Europa è difusa l’idea che i greci debbano incolpare solo se stessi dei loro problemi attuali.
“Sento dire da amiche e familiari in Danimarca che è tutta colpa dei greci”, dice Helle Olander Hansen. “È come se ci fosse una
specie di perida soddisfazione nell’osser-56 Internazionale 986 | 8 febbraio 2013
vare le disgrazie altrui, con l’idea che in
fondo i greci hanno avuto quello che si meritavano. In Danimarca la gente non ha capito quanto è dura la situazione qui. Non ne
posso parlare con i miei amici danesi. Non
mi prendono sul serio”, aggiunge Helle. Poi
spiega che anche le donne già tornate in
Danimarca si sentono dire le stesse cose.
“Le  banche  hanno  concesso  prestiti
troppo grandi. Gran parte della colpa è loro. Hanno oferto prestiti con bassissimi
tassi d’interesse, che però ora la gente non
riesce a ripagare. E per questo oggi falliscono. La Grecia è un paese europeo, ma ormai vive in condizioni indegne dell’Europa. Molti di noi hanno ancora qualche soldo
da parte con cui vivere. Ma quando i risparmi e i soldi prestati dalla famiglia iniscono,
allora la tragedia è spaventosa”, dice Helle
Olander Hansen.
Dalla città alla campagna
La crisi economica non produce solo tragedie personali, ma ha conseguenze anche
sul paesaggio urbano e sulla cultura. Nei
quartieri dove abitano le donne del gruppo,
la metà dei negozi è chiusa e i ristoranti sono vuoti. Neanche loro vanno più a mangiare fuori perché non se lo possono permettere. “In giro c’è un forte pessimismo,
una brutta atmosfera. Le persone sono arrabbiate e tristi. I greci sono sempre stati
allegri, gente che si gode la vita. Oggi non è
più così”, dice Mathilde Siert.
Negli ultimi quattro anni la società greca ha vissuto un declino inarrestabile, con
lo stato costretto a risparmiare miliardi su
miliardi. Gli stipendi sono stati tagliati, le
tasse sono aumentate e i soldi per il consumo privato sono initi. La siducia nello stato è difusissima e, ora che si è scoperta
l’inettitudine con cui il sistema politico ha
reagito alle cattive previsioni economiche,
la voglia di pagare le tasse – da sempre piuttosto bassa – è ulteriormente diminuita.
“Se paghi le tasse in Danimarca hai qualcosa in cambio. In Grecia non è così”, continua Mathilde Siert.
“I greci hanno un rapporto completamente diverso con lo stato”, aggiunge Helle Olander Hansen. “Dipende dalla loro
storia. La Grecia è una democrazia giovane, nata solo dopo la ine del regime dei
colonnelli, nel 1974. Non c’è stato un processo di costruzione dello stato né ci sono
state igure politiche di cui potersi idare.
La rabbia che si vede nelle manifestazioni
è indirizzata contro i politici corrotti. Quegli stessi che ci dicevano di stringere la cinghia e intanto portavano all’estero milioni
di euro. È per questo che i greci non hanno  nessun rispetto per lo stato”.
Nel frattempo al gruppo si sono aggiunte altre due donne. Sono arrivate in ritardo
perché avevano sbagliato strada. Il iglio di
Mathilde, Hector, le accoglie con entusiasmo. “Al lavoro il mio capo ha cominciato a
dire che vuole comprare delle mucche.
Adesso tutti vogliono fare i contadini, per
dar da mangiare alla famiglia”, racconta
Christina Bouras, che si è seduta con le altre sul divano.
Quando l’economia in Grecia funzionava, c’è stato un esodo dalle campagne verso le città. I greci si iscrivevano all’università e lasciavano il lavoro nei campi agli
immigrati albanesi. Ma ora che molti non
riescono più a pagare il cibo e l’aitto, il
lusso è opposto: chi ha fatto l’università
torna in campagna a coltivare la terra. “La
formazione universitaria non serve più a
nulla, e non è detto che in futuro possa tornare a essere utile. Chi ha studiato è fortunato se trova lavoro come cameriere a 400
euro al mese”, dice Helle.
È possibile che la prossima estate nasceranno nuove storie d’amore tra le ragazze del nord e gli uomini del sud Europa. Ma
per questo gruppo di donne, la cui storia è
cominciata molti anni fa, l’Europa del sud
rischia di diventare presto un capitolo chiuso. Molte sono già tornate a casa in Danimarca, mentre altre stanno valutando se
rimanere in Grecia. Intanto rimandano
tutto quello che si può rimandare e sperano
in tempi migliori.
“L’importante è non ammalarsi e che i
bambini siano abbastanza in gamba da cavarsela a scuola senza bisogno di lezioni
private”, spiega Christina Bouras.
“Abbiamo posticipato di un paio di mesi
le vaccinazioni dei bambini, che costano
comunque un po’ di euro. Prima erano spese che si facevano senza nemmeno pensarci”, dice Mathilde Siert.
“Sì, altrimenti si può buttarla sul ilosoico: ‘Ma sarà proprio vero che i vaccini fanno bene?’”, scherza Christina Bouras.
“Eh sì, ci si può sempre curare con le
erbe”, aggiunge un’altra.
Raforzare la coesione della famiglia,
non accettare più la corruzione, dedicarsi
al lavoro manuale invece di lasciarlo interamente agli immigrati, riutilizzare gli oggetti: sono alcune delle piccole cose che i
greci hanno cominciato a fare in reazione
alla crisi. E tutto questo – come sottolineano molte donne del gruppo – potrebbe essere un nuovo punto di partenza.
“Non era il caso di arrivare a tanto, ma
in efetti qualche conseguenza della crisi è
stata positiva. Forse una sberla ci voleva”,
dice Berit Balzer.
“Di sberle, però, non ne è arrivata una
sola...”, fa notare Christina Bouras.
“No. Basta così”, conclude Berit Balzer.
“Abbiamo capito”. u  fc

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