mercoledì 23 aprile 2014

982 - Nella capitale del regno dell’assurdo

Ingrid De Armas, El Universal, Messico. Foto di Thomas Linkel
Palazzi d’oro, fontane illuminate e strade deserte.Aşgabat è un monumento alla follia
della dittatura turkmena. Costruito con i soldi del gas e l’aiuto delle imprese occidentali


rrivare nella capitale del
Turkmenistan  è  come
fare un viaggio a ritroso
nel tempo. Sembra di es­
sere initi in una di quel­
le epoche storiche in cui
chi governava aveva il potere assoluto e ge­
stiva intere nazioni come patrimoni privati.
Con  l’indipendenza  del  Turkmenistan,
Aşgabat è rinata come un sogno, un delirio
di grandezza di un dittatore in cerca di
un’identità. A vedere i suoi palazzi non ci si
capacita del fatto che più del cinquanta per
cento della popolazione turkmena viva al
di sotto della soglia di povertà. Ci sono
ovunque teatri sontuosi, ma gli abitanti
hanno dovuto dire addio alla musica, al

nema, al balletto e all’opera. Gli ospedali
sono scomparsi per lasciare il posto ai gua­
ritori tradizionali, e l’etica pubblica è detta­
ta da un libro scritto dall’ex presidente e
considerato una specie di bibbia.
La capitale di questo piccolo stato, che
un tempo faceva parte dell’Unione Sovie­
tica, è una città nuova, ultramoderna, co­
struita in uno stile indeinibile e con uno
sfarzo che è quasi un’ofesa per gli occhi.
Negli ediici governativi e residenziali si
mescolano elementi dell’architettura gre­
co­romana e persiana. Molti sono fatti di
marmo bianco, importato grazie ai ricavi
che il paese ottiene dalla vendita del gas, di
cui è il quarto produttore mondiale.
Camminando per le strade della zona
più ricca di Aşgabat, nel quartiere di Ber­
zengi, è facile imbattersi in colonne monu­
mentali, cupole dorate che sidano la forza
di gravità, cancellate lunghe centinaia di
metri. La ricchezza è ovunque. Tutto è so­
vradimensionato e allo stesso tempo di una
freddezza che mette quasi paura.
In queste zone incontrare un turkmeno
è quasi impossibile. Nonostante il lusso e le
strade larghe alcuni metri che costeggiano
i ministeri, i palazzi del governo e gli ediici
residenziali riservati alle élite del paese,
tutto sembra abbandonato. In questo pae­
saggio urbano fuori scala umana, che quasi
nessuna persona osa sidare, ogni tanto si
avventura qualche macchina di lusso: “Da
queste parti chiamiamo il quartiere di Ber­
zengi la città fantasma”, spiega un abitante
di Aşgabat. Gli appartamenti sitti e l’atmo­
sfera di abbandono non fanno che confer­
marlo.
Il prezzo altissimo degli immobili e dei
terreni tiene lontana la classe media dalle
zone più moderne della città. Nelle dittatu­
re è così: spesso le cose non hanno logica. E
nemmeno i capricci dei dittatori. Quello
del Turkmenistan si chiamava Saparmyrat
Ataýewiç Nyýazow. Aşgabat è piena di sta­
tue d’oro che lo ritraggono in diverse posi­
zioni. Si trovano nei giardini e nei parchi
che spezzano la monotonia della rigida
geo metria cittadina, pieni di fontane colo­
rate e di monumenti di dubbio gusto ai fon­
datori della cultura turkmena.
Presente o passato?
Per capire il Turkmenistan bisogna collo­
carlo sulla cartina geograica e nella storia.
Altrimenti è impossibile dare un senso a
quello che è successo qui. La prima cosa da
dire è che il paese è nato dalla disintegra zione dell’impero sovietico in Asia centrale
e, anche se per metà è deserto e ha una po­
polazione di poco più di cinque milioni di
abitanti, è molto ricco: è tra i maggiori pro­
duttori al mondo di gas naturale e si trova
in un’area di grande importanza sotto il
proilo strategico. A sud e a sudest, infatti,
conina con l’Iran e l’Afghanistan, a nor­
dest e a nord con altre due ex repubbliche
sovietiche, l’Uzbekistan e il Kazakistan, e a
ovest si afaccia sul mar Caspio. È un paese,
insomma, che produce gas e che – come se
non bastasse – condivide le frontiere con
due delle nazioni più instabili e pericolose
della regione secondo gli Stati Uniti. Ed è
anche una zona di passaggio per raggiun­
gere il Medio Oriente.
La sua storia è stata segnata dal totalita­
rismo in dall’era sovietica. Dopo il crollo
dell’Urss, la situazione non è migliorata.
Anzi, il pugno di ferro che controllava ogni
aspetto della vita del paese si è fatto ancora
più duro, raggiungendo livelli quasi carica­
turali. Qui la realtà economica, politica e
sociale è complicata da spiegare. Il Turk­
menistan incassa grandi quantità di dena­
ro grazie allo sfruttamento del gas naturale
e del petrolio, ma gli abitanti guadagnano
in media 4.658 dollari all’anno. L’economia
cresce a un ritmo del 9 per cento all’anno,
ma l’uso dissennato delle risorse pubbliche ha trascinato più del cinquanta per cento
della popolazione nella povertà. Il governo, corrotto e in balia dei capricci di un dittatore eccentrico, per anni ha accentrato
quasi tutti gli investimenti. Oggi solo il 25
per cento del pil dipende dall’iniziativa privata.
Quando Nyýazow diventò il primo presidente del Turkmenistan indipendente,
nel 1991, creò un universo a sua misura, in
cui i cittadini erano privati dei diritti più
elementari. I turkmeni dovettero sottoporsi ai suoi gusti e rinunciare alla musica, al
cinema, al balletto, all’opera. La televisione e i teatri furono vietati perché estranei
alla cultura turkmena tradizionale. E, cosa
ancora più grave, le persone furono obbligate a tornare a uno stile di vita arcaico e ad
abbracciare abitudini ormai dimenticate: il
sistema sanitario, per esempio, fu smantellato a favore della medicina tradizionale.
Nyýazow, inoltre, vietò di fumare per
strada perché i suoi medici gli avevano
proibito le sigarette. Questa misura è ancora in vigore e chi non la rispetta è punito
con una multa. Il presidente impose anche
ai ministri del suo governo di percorrere
una volta all’anno il cosiddetto “sentiero
della salute”, una scalinata di diversi chilometri che si arrampica sulle pendici del
Kopet Dag, la catena montuosa a sud di
Aşgabat. Mentre i suoi funzionari sudavano marciando, lui arrivava in elicottero
sulla cima e li aspettava lì.
Nel paese le libertà politiche, di movimento e di espressione sono praticamente
inesistenti: le ong, per esempio Amnesty
international, denunciano continuamente
arresti arbitrari e torture. Il capo di stato è
proprietario di tutti i giornali e il Turkmenistan occupa il terzultimo posto (è 177° su
un totale di 179 paesi) nella classiica di Reporter senza frontiere sulla libertà di stampa. Anche l’accesso a internet è iltrato dal
governo,  e  ottenere  una  connessione  è
estremamente complicato.
Allora perché, nonostante tutto questo,
i paesi occidentali non battono ciglio? Semplice: per i soldi e le risorse naturali del
Turkmenistan. L’Europa e gli Stati Uniti
fanno inta di non vedere gli abusi commessi per proteggere i loro interessi, considerato che l’indipendenza turkmena ha
spezzato il monopolio russo sul petrolio e
sul gas dell’Asia Centrale, aprendo le porte
agli investimenti dei paesi che cercano di
diversiicare le loro fonti di approvvigionamento energetico. Washington e Bruxelles,
inoltre, riconoscono ad Aşgabat un ruolo
chiave  nel  frenare  l’avanzata  dell’islam
nella regione: “Gli iraniani vengono qui a
fare la loro propaganda, ma il governo li
tiene sotto stretto controllo. E non hanno
grande libertà di azione”, mi spiega un turkmeno appena sollevo l’argomento. La pace è una cornice ideale per fare afari.
Il sogno di Nyýazow
Nel 1990 Saparmyrat Ataýewiç Nyýazow
era  presidente  del  soviet  supremo  del
Turk menistan e con il crollo dell’Urss, un
anno dopo, si trasformò in un batter d’occhio nel primo presidente del paese. Erede
della tradizione russa dell’assolutismo e
del culto della personalità, diventò presto
l’unico padrone del paese, imponendo la
sua volontà ai cittadini, educati per generazioni nel sistema dittatoriale instaurato
da  Mosca.  Nel  1993  si  autoproclamò
türkmenbaşi(padre dei turkmeni) e nel
1999 si fece dichiarare presidente a vita.
Un infarto ha messo ine alla sua carriera
nel 2006, aprendo le porte della presidenza a Gurbanguly Berdimuhammedow, anche lui destinato a rimanere al potere a vita.
Dopo l’indipendenza, Nyýazow decise
di costruire un’identità nazionale che facesse piazza pulita di ogni traccia delle inluenze russe e sovietiche, ma anche del
passato orientale del paese. Il primo passo
fu rinnegare le città costruite dai russi nello
stile usato in tutte le altre ex colonie sovietiche dell’Asia centrale. Per interrompere
quella tradizione architettonica, Nyýazow
volle che la sua capitale fosse costruita soprattutto di marmo, per cui furono sborsati
miliardi di dollari.
Una volta stabilite le basi ideologiche
per dare un nuovo aspetto ad Aşgabat, nel
1997 il türkmenbaşilanciò il progetto del
rinnovamento della città, che si sarebbe
dovuto concludere entro il 2020. La realizzazione dei sogni di modernità del presidente, del tutto scollegati dai bisogni del
paese, richiedeva l’intervento di imprese
occidentali che si adattassero senza batter
ciglio alle sue richieste. Nel 1994 il presidente francese François Mitterrand visitò
il Turkmenistan in compagnia di alcuni uomini d’affari. In quell’occasione mise in
contatto il türkmenbaşicon Martin Bouygues, uno degli uomini più ricchi di Francia
e capo di una grande impresa di costruzioni. Fu in quel momento che nacque il rapporto privilegiato e ancora oggi solido tra
l’azienda  francese  e  l’uomo  forte  di
Aşgabat: Nyýazowlandia era inalmente
una realtà.
Saggezza orientale
Nonostante  la  morte  del  dittatore  nel
2006, la presenza di Bouygues in quest’angolo dell’ex impero russo non si è interrotta. L’azienda continua a innalzare impalcature nel cuore di Aşgabat per costruire gli
sfavillanti palazzi governativi che sono i
simboli del potere.
Il gruppo Bouygues si occupa della costruzione dei grandi ediici pubblici: ministeri, palazzi presidenziali, moschee e monumenti. Ma i francesi non sono stati gli
unici a dare forma ai capricci di Nyýazow.
La concorrenza è rappresentata dalla Polimeks, un’azienda turca che si è aggiudicata
l’appalto per gli ediici residenziali e la realizzazione delle statue. Per ottenere i contratti, entrambe le imprese si sono dovute
piegare a un requisito imposto personalmente dal presidente: la traduzione e la
divulgazione  del  Ruhnama,  il  “libro
dell’anima”, il cui autore altri non è che
Nyýazow stesso. I rappresentanti di tutte le
aziende straniere, di qualsiasi settore e nazionalità, sono tenuti a rispettare questa
condizione se non vogliono correre il rischio di essere esclusi dalla distribuzione
dei gasdollari turkmeni.
Il Ruhnamaè una raccolta di pensieri
elementari e rilessioni pseudoilosoiche
di una banalità tale che, se non fosse destinato ad abbrutire il popolo turkmeno, ci
sarebbe da ridere. Per citare le parole di
Nyýazow, il Ruhnamaè “una guida morale,
familiare, sociale e religiosa per i turk meni
moderni”. Conoscerlo e saperne recitare i
brani a memoria è necessario per superare
gli esami scolastici, prendere la patente o
aspirare a una carica pubblica. Anche le cerimonie uiciali prevedono canti e coreograie raccolte dal libro.
Seguire alla lettera il codice di comportamento stabilito dal dittatore dà inoltre
accesso a una serie di “beneici” elencati
proprio nelle pagine del libro: “Garantiamo
a tutto il popolo turkmeno la soddisfazione
delle necessità indispensabili della vita
quotidiana come il rifornimento di gas,
elettricità, sale e terra da coltivare. Inoltre,
non è richiesto il pagamento di nessun afitto per le case e la farina è distribuita gratuitamente ai poveri”.
Il successore del türkmenbaşi, Gurbanguly Berdimuhammedow, ha deciso che le  sovvenzioni iniranno nel 2030. Ma continua comunque a usare il Ruhnama.
Quando era in vita, Nyýazow ha introdotto l’obbligo di leggere la sua opera nelle
scuole, nei licei e nelle università, e ha fatto
erigere un monumento in onore del libro
nel cuore della città. Realizzato da Polimeks in granito, l’opera riproduce la copertina del volume con l’immagine del suo
autore nelle colossali proporzioni caratteristiche di tutta Nyýazowlandia. Un complesso di fontane illuminate circonda la
base del monumento.
Monumenti smisurati
Da quando il gruppo Bouygues ha cominciato a collaborare con il governo turkmeno ha ottenuto circa 55 appalti, tra cui quello per la costruzione del palazzo residenziale, grande settantamila metri quadrati e
costato più di trecento milioni di dollari.
Anche la moschea più grande dell’Asia centrale, capace di ospitare ventimila persone,
è opera dei francesi. È di un dorato accecante e al suo interno spiccano frasi del
Corano mischiate con grande disinvoltura
a citazioni dal Ruhnama. Questa sfrontatezza ha fatto andare su tutte le furie gli
imam locali, che hanno pagato l’audacia
della loro protesta con il carcere. Bouygues
ha anche regalato al türkmenbaşiun mausoleo, piccolo e sorprendentemente semplice, a pochi passi dalla moschea. È sorvegliato giorno e notte da militari sempre
sull’attenti.
Il monumento alla neutralità, che celebrava la politica estera del paese, era invece
una delle opere realizzate da Polimeks. È
stato costruito su tre enormi pilastri, simile
a una piattaforma di lancio per navicelle
spaziali. In cima c’era l’immagine di Nyýazow, in oro e a corpo intero. Inizialmente il
monumento ruotava su se stesso in modo
che il volto del presidente fosse illuminato
dal sole a ogni ora del giorno. Era sistemato
vicino alla sede del governo, ma su ordine
del  nuovo  presidente  la  Polimeks  l’ha
smantellato e sostituito con un nuovo monumento realizzato alla periferia della città. Il tutto è costato 217 milioni di dollari,
contro i dodici che c’erano voluti per costruire il primo arco della neutralità. Il nuovo monumento non ruota più.
Attorno al parco dell’indipendenza ci
sono altri monumenti. Quello che commemora l’indipendenza è il più alto di tutti:
118 metri. All’interno della sua base circolare c’è il museo dei valori turkmeni. I visitatori non sono numerosi. È circondato da
una folla di sculture enormi di personaggi
storici locali. Tutt’intorno, un’ininità di
fontane luminose lancia potenti getti d’acqua senza interruzione. Uno spreco incomprensibile, considerato che la metà del paese è occupato dal deserto e che per alimentare le fontane c’è bisogno di ricorrere
al canale di Karakum, che rifornisce di acqua  l’intera  città  sottraendola  al  fiume
Amu Daria e contribuendo così alla desertiicazione della zona.
Un  po’  più  avanti,  un  complesso  in
bronzo di cavalli di razza akhal-teké, vero
orgoglio  nazionale,  contrasta  con  l’oro
scintillante di un’altra delle statue di Nyýazow. Il memoriale del terremoto del 1948,
che rase al suolo la città, uccidendo più di
centomila persone, è rappresentato da un
toro nero e da una statua del türkmenbaşi
da bambino, scampato al disastro.
Costruire e costruire
Negli ultimi anni il presidente Berdimuhammedow, che si è autonominato arkadag(protettore dei turkmeni), ha leggermente smussato alcuni aspetti della politica del suo predecessore. O, quantomeno,
si è mostrato meno stravagante. Finora si è
limitato a mettere le sue foto nei luoghi
pubblici, ma è comunque rimasto fedele
all’urbanistica  fuori  misura  voluta  da
Nyýazow.
Questo atteggiamento ha sollevato diversi dubbi. Wikileaks ha contribuito a
chiarirne alcuni grazie alla divulgazione
dei documenti uiciali dell’amministrazione statunitense che riguardano il Turkmenistan.  In  uno  dei  dispacci  si  parla
dell’esistenza di un sistema di corruzione
smisurato almeno quanto i progetti architettonici del  türkmenbaşi: “Le impalcature
degli ediici in costruzione in tutta la città
grondano denaro”, ipotizzano i funzionari
degli Stati Uniti. Una simile cascata di dollari serve per tenere al sicuro gli alti funzionari turkmeni e le loro famiglie, soprattutto il presidente e i suoi fedelissimi. Secondo Washington, i due grandi mali del Turkmenistan sono la corruzione e il nepotismo. Non è un caso se, secondo l’organizzazione Transparency international, il paese è tra i più corrotti al mondo. Per quanto
riguarda le attività di Bouygues, gli Stati
Uniti parlano di un giro d’afari che supererebbe i duemila miliardi di dollari. Secondo i documenti americani, l’impresa francese e la turca Polimeks “hanno avuto un
successo così grande nel campo dell’edilizia perché hanno saputo dominare il mondo degli afari locale”. D’altro canto, stando alle rivelazioni di Wikileaks, l’ambasciata francese in Turkmenistan prende le
distanze  dall’azienda  di  Bouygues  solo
quando le conviene, quando ha bisogno di
salvare l’apparenza o quando sente che sta
perdendo potere.
Nonostante tutto, quindi, la collaborazione tra gli ingegneri del gruppo Bouygues e l’arkadagcontinua, al punto che di
recente il presidente si è espresso positivamente sui rapporti con l’impresa francese.
Nel corso dell’ultimo anno sono stati inaugurati nuovi ediici, tra cui alcuni ministeri, e altri ancora ne sono stati annunciati.
Chiaramente lo stile architettonico non è
cambiato e ovunque regnano il lusso, il
marmo di Carrara e le fontane luminose
che spruzzano l’acqua a cui i turkmeni più
poveri non hanno accesso. Il basso costo
dell’energia, legato alle grandi riserve di
gas, fa pensare inoltre che lo spreco di elettricità, usata ogni notte per illuminare la
città, non si fermerà presto.
Gli unici a non godersi i palazzi e il lusso
della nuova Aşgabat sono i turkmeni, che
si scontrano quotidianamente con i problemi legati alla casa, con i continui e incomprensibili tagli ai rifornimenti di luce e
acqua, con un sistema scolastico inefficiente, una sanità pubblica in condizioni
disastrose e strade in pessimo stato.
Paradossalmente i luoghi più animati e
piacevoli della città sono lontani dagli ediici di Bouygues. Si nascondono nei giardini dei vecchi complessi residenziali sovietici, dove ristoranti e cafè ofrono rifugio
agli abitanti della città e ai pochi turisti che
cercano, senza riuscirci, di afacciarsi sul
più  chiuso  e  più  misterioso  dei  paesi
dell’Asia centrale. Nel frattempo i dittatori
continuano a dormire tra i loro guanciali
d’oro. 

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