giovedì 24 aprile 2014

985 - Le metamorfosi di Cristina Gabriel Pasquini e Graciela Mochkofsky, Piauí, Brasile

Insieme al marito Néstor, la presidente dell’Argentina ha segnato dieci anni di
storia del paese. Da irst lady amata dalla gente e dai giornalisti, è diventata una
leader isolata che non rilascia interviste. E si comincia a parlare della successione


a  prima  volta  che  io  (Gabriel) ho incontrato Cristina
Fernández de Kirchner era
il 1997: era seria, professionale, un po’ tesa, parlava di
politica e indossava un tailleur. Aveva uno stile alla Hillary Clinton,
anche se si capiva che dietro c’era qualcosa
di più: lo strato pesante di trucco, i capelli
folti e vaporosi, il vestito un po’ troppo attillato. Ma eravamo in Argentina, dove questo
misto di formalità e sensualità non è una
cosa insolita. Si faceva chiamare con il suo
cognome da nubile, Fernández. Una volta
le ho chiesto del ruolo delle donne nella vita
politica argentina. La domanda l’ha infastidita: lei era un leader politico, il genere non
aveva importanza. Un giorno, durante un
incontro del gruppo parlamentare peronista, un senatore le ha detto: “Ascoltami,
bella”. “Non chiamarmi bella”, gli ha risposto lei. “Sono la senatrice Cristina Fernández de Kirchner”.
Peronista dalle idee progressiste, Cristina si è fatta conoscere come una voce critica
nel Partido justicialista, che all’epoca era
guidato  dal  presidente  Carlos  Menem
(1989-1999). Quando ha rotto con lo schieramento peronista al senato, ha commentato: “Questa non è una caserma e io non
sono la recluta Fernández”. I giornalisti la
vedevano di buon occhio. Era una buona
fonte, anche se le piaceva di più fare discorsi che dare informazioni concrete. Ma se le
chiedevi qualcosa che non era di suo gradimento, emergeva il suo lato nascosto. A me
(Graciela) è successo in un’occasione. Ha
risposto con freddezza e ha aggiunto, gelandomi con lo sguardo: “Come sta Gabriel
(mio marito)? Parlo sempre con lui. Digli di
venirmi a trovare”.
La stampa l’adorava. Sembrava isolata e
senza potere, ma non era così. Negli anni
novanta suo marito, Néstor Kirchner, era il
governatore di Santa Cruz, una provincia
nella fredda e ventosa Patagonia. Anche lui
a parole criticava Menem, ma era più pragmatico. Raggiunse un ottimo accordo con il
governo federale: in cambio del suo sostegno tratteneva una percentuale enorme
dell’imposta sulla benzina della provincia.
Néstor era popolare in quella zona, la meno
popolosa del paese, ma fuori da Santa Cruz
era uno sconosciuto.
Dopo Evita e Perón
Cristina proveniva da una famiglia della
classe media di La Plata, una città universitaria a un’ora da Buenos Aires. Néstor si era
trasferito lì per studiare. Quando s’incontrarono militavano nell’ala sinistra della
Juventud  peronista,  un  movimento  che
aveva dei legami con la guerriglia. All’inizio
dell’ultima dittatura militare (1976-1983) si
trasferirono a Santa Cruz, dove accumularono una fortuna con alcune operazioni
immobiliari. Possedevano molte proprietà
tra cui un elegante appartamento alla Recoleta, l’esclusivo quartiere della borghesia di
Buenos Aires, dove la deputata Cristina si
trasferì negli anni novanta, quando i suoi
doveri parlamentari la tenevano lontana
dal marito dal lunedì al venerdì. Si assicurava che ci fossero sempre dei iori freschi, del
buon cafè e dei cioccolatini. Tra il 1999 e il
2000 tutti e quattro potevamo incontrarci
nei ine settimana all’ormai scomparso caffè Opera, davanti a plaza Vicente López,
dove un’intera parete era dedicata a Jorge
Luis Borges, l’icona letteraria (e antiperonista) nazionale. Cristina e Néstor sembravano una coppia qualsiasi del quartiere. Lui
era brutto, sbilenco e portava delle giacche
troppo grandi. Se all’epoca avessero detto a
chi li incrociava per strada che quei due sarebbero  diventati  la  coppia  più  potente
d’Argentina dopo Evita e Perón, sarebbero
tutti scoppiati a ridere. Cristina? Forse. Ma
lui?
Poi arrivò la crisi del dicembre del 2001.
Lo stato dichiarò la bancarotta, congelò i
depositi bancari privati e svalutò il peso. Da
un giorno all’altro milioni di argentini della
classe media sprofondarono nella povertà.
Ci furono saccheggi e trentanove morti, e
cinque presidenti furono nominati e destituiti nel giro di dieci giorni. La folla manifestava per strada chiedendo le dimissioni in
blocco della classe politica. Le proteste liquidarono un’intera generazione di leader  ma non crearono alternative. Il Partido justicialista cercò qualcuno in terza linea e,
dopo alcuni tentativi, uscì il nome di Néstor
Kirchner. I dirigenti peronisti speravano
che Kirchner fermasse Menem, considerato dalla maggior parte degli argentini il responsabile della crisi. Ma nel gennaio del
2003, a tre mesi dalle elezioni, Kirchner
aveva una popolarità dell’8 per cento.
Doveva farsi conoscere e così emerse un
suo lato nascosto. In quei giorni io (Graciela) andai a Santa Cruz per fare alcune ricerche per un articolo su Néstor Kirchner e il
suo governo. Cristina mi accolse nella residenza del governatore a Río Gallegos, una
villetta dove vivevano dal 1991. Prendemmo un cafè in un grande salotto. Lei aveva
il suo solito strato pesante di trucco e indossava una giacca attillata con dei pantaloni
neri. Era sulla difensiva, quasi ostile. Sapeva che avevo parlato con i leader dell’opposizione locale e con gli avversari del governo di suo marito. Si riferì con sarcasmo a un
politico in particolare chiamandolo “il tuo
amico” (non lo era). Difese il marito. Le dissi che c’erano prove evidenti che Néstor
avesse preso delle misure autoritarie, simili
a quelle applicate in altre province più conservatrici: la manipolazione e il controllo
della giustizia, della stampa e dell’opposizione. Una “società cosmopolita come Santa Cruz”, mi disse Cristina, “non si può manipolare facilmente”.
Kirchner perse al primo turno per due
punti, ma al ballottaggio Menem si ritirò
dalla corsa. Così il candidato improbabile
diventò presidente e Cristina irst lady.
Cristina interpretò il suo ruolo ben oltre
le aspettative. Si fece fare delle extension ai
capelli, si fasciò in giacche ancora più attillate e in enormi cinture, montò su vertiginosi tacchi a spillo e sfoggiò una serie di
borse Louis Vuitton. A cinquant’anni era
ancora attraente e il suo stile diventò un argomento di discussione nazionale. Si parlava di chirurgie estetiche e di silicone. “I
cento vestiti di Cristina Kirchner”, titolò il
giornale Peril nell’aprile del 2008. “I segreti del glamour di Cristina Kirchner”, scrisse
La Nación nel settembre del 2007. Se come
parlamentare somigliava a Hillary, come
irst lady era più vicina a Carla Bruni. Qual
era la ragione di questa trasformazione? La
domanda assillava politici, giornal  tadini. Ma non era facile ottenere una risposta.
I Kirchner avevano deciso di governare
nell’isolamento. Come altri presidenti latinoamericani – Hugo Chávez in Venezuela,
Rafael Correa in Ecuador ed Evo Morales in
Bolivia – erano convinti che i leader democratici dovessero recuperare il potere ceduto ai grandi gruppi economici. E, come loro,
consideravano i mezzi d’informazione come i portavoce di potenti interessi economici, non come uno strumento di controllo
democratico del potere. Decisero così di
afrontarli o di evitarli del tutto. “Che inisca la dittatura dei mass media e iorisca la
primavera democratica”, ha detto Néstor
Kirchner nel 2010.
Un portavoce kirchnerista che ha chiesto di restare anonimo ha spiegato che ancora oggi, quasi dieci anni dopo l’arrivo dei
Kirchner al potere, nessuna persona vicina
al governo avrebbe risposto alle nostre domande per quest’articolo. “Il kirchnerismo
non parla con la stampa straniera”, ha detto.
Non importava che fossimo argentini o che
ci conoscessero, contava solo per chi scrivevamo. Per i reporter dei giornali argentini la
situazione non è migliore. Secondo Andrés
Alessandro, direttore del forum di giornalisti Fopea, dal 2003 al 2007 Néstor Kirchner
non ha tenuto nessuna conferenza stampa.
Dal 2007 a oggi Cristina Fernández ne ha
fatte cinque.
I Kirchner manifestarono il loro disprezzo anche nei confronti dei politici del loro
stesso partito. In parte era il loro stile, in
parte  un  gesto  per  compiacere  l’umore
dell’opinione pubblica: dopotutto, nei giorni della crisi, folle di argentini avevano cercato di linciare tutti i politici su cui potevano
mettere le mani. I Kirchner presero le distanze anche dai loro collaboratori: cancellarono le riunioni di governo e scoraggiarono il lavoro di squadra. Tutti gli uomini (e le
donne) del presidente dovevano riferire a
lui (o alla irst lady). Il dibattito si ridusse
alle discussioni tra marito e moglie. Solo
una persona era ammessa a queste discussioni: Alberto Fernández, capo di gabinetto
di Néstor Kirchner. “Sono sempre stati una
coppia, funzionavano così: prendevano le
decisioni tra di loro”, ci ha detto Fernández,
ormai fuori dal governo e critico nei confronti di Cristina Fernández. “A volte vinceva l’opinione di uno e a volte dell’altra”.
Secondo Alberto Fernández, la trasformazione di Cristina da Hillary a Carla è stata  una  conseguenza  della  divisione  dei
compiti nella coppia: lei ha smorzato il tono
politico del suo profilo pubblico per non
mettere in ombra il marito. “Cristina era
molto più famosa di Néstor quando lui è stato eletto presidente”, ha spiegato. “Così ha
fatto un passo indietro, ma non ha perso il
suo potere decisionale”. Però ha pagato un
prezzo per questo cambiamento. Mentre
Néstor era considerato lo stesso personaggio sbilenco che indossava vecchi mocassini e non aveva mai viaggiato all’estero, un
presidente che si descriveva come “un uomo comune in circostanze straordinarie”,
gli argentini reputavano sua moglie distante e frivola.
La presidenza di Néstor era un successo.
Secondo le cifre uiciali, il pil cresceva a un
ritmo del 9 per cento all’anno, e la povertà e
la disoccupazione diminuivano. Inoltre, per
la prima volta dal ritorno alla democrazia,
più di mille militari coinvolti nei terribili crimini commessi durante la dittatura furono
portati davanti alla giustizia.
Un brutto colpo
Alla ine del 2007, al termine del suo mandato, la popolarità di Néstor Kirchner era
alle stelle. Era il capo del peronismo e non
aveva rivali né dentro né fuori del partito.
Tutti credevano che si sarebbe ripresentato
per un secondo mandato. Invece lui annunciò la candidatura di Cristina.
“Fu una campagna elettorale atipica,
perché la situazione era atipica. Cristina
44 Internazionale 985 | 1 febbraio 2013
Fernández andò all’estero (a Berlino, Parigi
e Brasília), incontrò alcuni leader internazionali, ma parlò poco di politica interna”,
ricorda Fabián Perechodnik, dell’agenzia di
consulenza Poliarquía. Cristina non aveva
bisogno di fare campagna elettorale in Argentina. E in ogni caso non incontrò quasi
nessun giornalista.
Il 28 ottobre 2007 Cristina vinse al primo turno con il 45 per cento dei voti, ma
l’analisi dei risultati mise in luce una frattura sociale: la classe media urbana le aveva
voltato le spalle. Durante i primi cento giorno  del  suo  governo  Cristina  Fernández
mantenne quasi invariati i ministri e la politica del marito. Era considerata ancora la
irst lady, preoccupata più della sua immagine che delle sorti del paese. La stampa
pubblicava articoli sulla sua tranquilla routine, paragonandola all’iperattività del marito.
Quando la presidente annunciò la sua
prima  decisione  importante,  l’aumento
della tassa sulle esportazioni della soia,
scoppiò una rivolta. Decine di migliaia di
persone scesero in piazza, centinaia di camion bloccarono le strade federali e in tutto
il paese la gente organizzò picchetti per
chiedere a Cristina di “mettersi a lavorare”.
Come all’epoca di Evita e Perón, nacquero
due fazioni inconciliabili: a favore o contro
i Kirchner. In un paese dove tutti hanno
un’opinione su tutto, era impossibile parlare di politica senza scatenare una discussione agguerrita.
Le donne, in particolare quelle della
classe media e alta, detestavano tutto di
Cristina: il suo modo di parlare, di vestirsi e
di muoversi. “Non sopporto come tocca i
microfoni”, ci ha detto una donna. “Era il
periodo in cui la presidente parlava dalla
Casa rosada con un tono da maestrina irritante”, ricorda Perechodnik. “Perse venti
punti nei sondaggi in sei mesi. Gli argentini
vedevano una Cristina Kirchner diversa da
quella della campagna elettorale”.
Il governo era a rischio, ma i Kirchner
non volevano cedere. La loro unica concessione fu d’inviare la nuova tassa al congresso (all’inizio era stata concepita come un
semplice decreto presidenziale) per trasformarla in legge. Fu approvata alla camera
dei deputati, ma al senato inì con un pareggio. La decisione spettava a Julio Cobos, un
alleato non peronista scelto dai Kirchner
come secondo di Cristina. Quella mattina,
in uno dei tanti momenti teatrali che segnano la storia moderna dell’Argentina, Cobos
votò contro il suo stesso governo.
Per Néstor Kirchner era la ine. Infuriato, decise che Cristina doveva rinuncia alla presidenza: si sarebbe aperta una crisi
e, nel giro di un anno o due, tutto il paese
sarebbe tornato in ginocchio a chiedergli di
riprendere in mano il paese. Secondo un
testimone diretto che ha chiesto di restare
anonimo, in quell’occasione Cristina fu inlessibile: non si sarebbe dimessa.
Litigarono. Per la prima volta la coppia
(il governo) era divisa. In quelle ore fondamentali per il futuro dell’Argentina i presidenti del Brasile, Luiz Inácio Lula da Silva,
e del Venezuela, Hugo Chávez, si schierarono a favore di Cristina. Alla ine la spuntò
lei.
Ma il governo era stato colpito e la popolarità  della  presidente  era  diminuita.  Il
kirchnerismo perse le elezioni legislative
del 2009 e Néstor fu sconitto nel bastione
peronista della provincia di Buenos Aires
da un gruppo di peronisti dissidenti di destra. Cominciò il gioco della successione:
tutti credevano che l’era Kirchner fosse inita. I leader dell’opposizione facevano a gara
per proclamare la loro inimicizia nei confronti dei Kirchner e del loro governo.
Ma invece di farsi scoraggiare, i Kirchner rilanciarono. “Dopo le elezioni Néstor
disse: ‘Ci siamo sbagliati, la gente chiedeva
di più. Siamo stati troppo timidi’”, ricorda
un consulente presidenziale. “Lo guardavamo come se fosse diventato pazzo”. Ma
non lo era. Attraverso le loro scelte politiche, i Kirchner cominciarono ad attaccare
tutti quelli che percepivano come nemici.
Sconissero gli avversari introducendo dei
cambiamenti radicali. Proposero una nuova legge antitrust sui mezzi d’informazione,
che molti chiedevano da tempo e oggi sembra  destinata a  disgregare il  più  grande
gruppo editoriale del paese, il Clarín, oppositore dei Kirchner. E fecero approvare una
legge sul matrimonio gay che ha reso l’Argentina  uno  dei  paesi  più  tolleranti  del
mondo e ha avuto il beneicio secondario di
ridurre l’inluenza della chiesa cattolica,
contraria ai Kirchner.
Cristina subì una nuova trasformazione.
Diventò una leader più radicale, si faceva
vedere in compagnia delleabuelase delle
madresdi plaza de Mayo, ed era pronta ad
attaccare i suoi nemici. Dimostrò di essere
un’oratrice nata. A proposito del gruppo
Clarín, in uno dei momenti di scontro più
duro,  dichiarò:  “L’immenso  potere  del
Clarín su politici, giudici e perino gli imprenditori somiglia a un potere maioso”.
La sua strategia funzionò. “Dopo aver
perso le elezioni del 2009 il governo riprese
l’iniziativa e la gente si accorse che il governo aveva sempre qualcosa da dire”, ha spiegato Analía del Franco, una consulente politica vicina al governo. L’opposizione si divise in piccoli gruppi senza un leader chiaro.
Ma i Kirchner dovevano ancora conquistare
gli scontenti, gli insoddisfatti e quelli che
odiavano Cristina, cioè la maggioranza degli argentini. Nonostante i loro sforzi e dopo
essersi lasciati alle spalle i problemi economici del 2009, la popolarità della presidente era salita di poco: secondo Poliarquía, era
ancora meno del 40 per cento. Cominciò a
circolare la voce che Néstor si preparava a
succederle. Gli stessi Kirchner giocavano
con l’efetto suspense: sarà (chiedeva Néstor) pinguino o pinguina? I Kirchner si riferivano a loro stessi come “pinguini”, perché
venivano dalla Patagonia.
Néstor afrontava una sida enorme. Era
stanco, andava a qualsiasi evento pubblico,
partecipava a riunioni diverse passando da
una stanza all’altra. Era troppo per un solo
uomo. Poteva essere più astuto dei suoi rivali, ma non ingannare la sua fragile salute.
Il 27 ottobre 2010 è morto per un infarto improvviso nel suo letto di Calafate, a Santa
Cruz. La presidente era con lui.
Retorica mistica
Una Cristina devastata ha accompagnato il
feretro del marito alla Casa rosada, allestendo una camera ardente pubblica. Per
ventidue ore una folla in lutto (tra le cento e
le quattrocentomila persone) ha dato l’ultimo saluto a Néstor Kirchner e ha fatto le
condoglianze a Cristina. Lei è rimasta in
piedi accanto al feretro per dodici ore di seguito, vestita di nero e con gli occhiali da
sole, piangendo a tratti ma per la maggior
parte del tempo rimanendo composta, accogliendo allo stesso modo capi di stato e
cittadini comuni. In un momento di grande
emozione, un uomo è entrato intonando
l’Ave Mariacon un virtuosismo da cantante
d’opera e facendo con la mano il segno della
V, il simbolo peronista. Alla ine ha grid  “Hasta la victoria siempre, Néstor”, uno slo gan degli anni settanta. Commossa, Cristina l’ha abbracciato.
Così, da un momento all’altro, gli argentini hanno guardato di nuovo la presidente
con simpatia e solidarietà. La sua popolarità
è salita alle stelle.
Cristina Fernández è cambiata di nuovo. Era vedova, vestiva sempre di nero e
piangeva in pubblico. Parlava del suo defunto marito come di un martire che aveva
dato la sua vita per il paese. Ha cominciato
a riferirsi semplicemente a “lui”, senza mai
dire il suo nome (i giornali si sono abituati a
chiamarlo Él, lui, con la maiuscola). Gli ha
fatto costruire un grande mausoleo a Santa
Cruz. Il 10 dicembre 2011, quando ha assunto il suo secondo mandato, Cristina ha
recitato il giuramento di rito: “Io, Cristina
Fernández de Kirchner, giuro su Dio, la patria e i santi vangeli di svolgere con lealtà e
patriottismo la carica di presidente della
nazione. Se così non fosse, che Dio, la Patria
e”, ha aggiunto, “luime ne chiedano conto”.
La sua retorica è intrisa di tradizione peronista. “Ci prenderemo cura di Perón più
della nostra stessa vita”, aveva detto Evita
alla folla nel maggio del 1952, un mese prima di morire. Ma questa volta a morire è
stato il leader, così le invocazioni di Cristina
hanno assunto un tono mistico. Mentre si
rivolgeva al paese parlando alla tv pubblica,
la presidente chiamava in causa il suo spirito. Una volta, mentre stava parlando, una
inestra si è aperta di colpo alle sue spalle.
“Vento del sud”, ha detto girandosi verso la
inestra. “Dev’essere entrato lui”.
Non era solo una messa in scena. Cristina ha fatto appendere il ritratto del marito
in un corridoio del palazzo di governo. Un
pomeriggio del luglio del 2012, mentre stava andando a una riunione importante con
un gruppo di funzionari nervosi (secondo
un testimone, il ministro dell’economia non
osava alzare lo sguardo da terra), all’improvviso si è fermata davanti al ritratto. L’ha
toccato, si è portata le mani alle labbra e le
ha baciate tre volte, come un fedele davanti
all’immagine di un santo. Poi ha ricominciato a camminare.
Anche se il legame con la memoria del
marito ha spinto alcuni a mettere in dubbio
la sua salute mentale, Cristina ha trovato un
personaggio pubblico che inalmente il paese ha accettato. “Tra il 2007 e il 2010 il suo
legame emotivo con gli argentini era inesistente”, ricorda Del Franco. “Dopo la morte
di Néstor Kirchner la situazione è cambiata”. “Non ha dovuto neanche fare campagna elettorale”, spiega Perechodnik. “Il 23
ottobre 2011 è stata rieletta con il 54 per cento dei voti”. Oggi, nel momento di maggiore popolarità e senza nessun rivale all’orizzonte, Cristina deve afrontare due side
inevitabili. La prima è una situazione eco nomica che né lei né Néstor avevano mai
conosciuto nei dieci anni precedenti, segnata dall’aumento dell’inlazione (secondo stime d’imprese private il 25 per cento
nel 2012, perché le statistiche del governo
non sono considerate aidabili). La seconda sfida riguarda un limite istituzionale:
questo è il suo ultimo mandato.
La costituzione argentina stabilisce che
un presidente può governare solo per due
mandati consecutivi. Secondo la consuetudine politica nazionale, qualsiasi presidente
che comincia il secondo mandato è considerato un presidente senza potere. Gli statunitensi parlano di lame duck, anatra zoppa, per indicare un presidente alla ine del
suo mandato o un presidente di cui è già
stato  scelto  il  successore.  “La  teoria
dell’anatra zoppa è vissuta come un trauma
in Argentina, perché sentiamo che ogni
presidente ha il compito di rifondare il paese”, aferma Alberto Fernández, l’ex capo
di gabinetto. “Per fare politica bisogna dimostrare di sapersi fare carico di un’eredità
pesante, quella del governo precedente.
Questo obbliga un presidente a fare il possibile per mantenere il potere fino all’ultimo”.
Néstor e Cristina credevano di poter
evitare il problema alternandosi alla presidenza. Ma oggi la presidente affronta lo scenario che i due hanno
cercato di evitare con tutte le loro
forze. Non si sono mai fidati di
nessuno, neanche dei dirigenti
del loro stesso partito. Quando ha
giurato per il suo secondo mandato, Cristina si è fatta mettere la fascia presidenziale
dalla iglia. La tradizione vuole che lo faccia
il vicepresidente. Ma dopo il voto sulla tassa
sulle esportazioni della soia, Cobos è stato
bollato come “traditore”.
La presidente avrebbe già dovuto designare un successore, ma si riiuta di farlo.
“La successione è vacante”, sostiene Del
Franco, la consulente vicina al governo. Perechodnik non è d’accordo: “La scelta più
naturale cade su Daniel Scioli”.
Governatore della provincia di Buenos
Aires, la più popolosa del paese, Scioli è un
importante dirigente kirchnerista, ma anche un potenziale rivale di Cristina. Era un
pilota di motonautica abbastanza popolare
negli anni novanta che si è sposato con una
modella e ha perso il braccio destro, falciato
dall’elica della sua lancia in una gara. È entrato in politica con Carlos Menem. Néstor
lo nominò vicepresidente facendo una concessione al partito. Scioli era considerato un
politico  più  conservatore,  vicino
all’establish ment  sfidato  dai  Kirchner.
All’inizio Scioli tenne delle riunioni non autorizzate e rilasciò delle dichiarazioni che
irritarono il governo. Néstor Kirchner lo riprese in pubblico e in privato afermò: “Gli
toglierò tutto. Gli toglierei il cameriere che
gli serve il cafè, se non fosse per il povero
cameriere”.
Scioli cedette. Nel 2005 i Kirchner vollero che si presentasse a governatore della
provincia di Buenos Aires. Usarono la loro
popolarità  per  vincere  in  una  provincia
chiave e l’allontanarono dalla linea di successione. Scioli, da parte sua, ottenne il
controllo della regione più grande e importante del paese in termini elettorali e per la
guida del peronismo. Nonostante le diferenze, avevano bisogno l’uno degli altri.
Secondo Perechodnik, dal 2003 Scioli e i
Kirchner sono stati gli unici personaggi
pubblici abbastanza popolari da poter aspirare alla presidenza.
Una battaglia aperta
Nel luglio del 2012 Scioli ha annunciato di
essere pronto a prendere il posto di Cristina. Lei ha reagito tagliando i fondi federali
alla provincia e creandogli problemi per pagare gli stipendi pubblici. L’ha mantenuto
con l’acqua alla gola per giorni ino a quando lui ha ceduto. Poi ha sbloccato i fondi e,
invece di cercare un successore, è
cambiata di nuovo. Ha preso alcune misure radicali: ha nazionalizzato Yacimientos petrolíferos
iscales (Ypf, la compagnia petrolifera nazionale che era stata privatizzata da Menem nel 1998), ha ristretto
l’accesso dei cittadini alla valuta straniera,
ma soprattutto si è decisa a parlare. Moltissimo. “La sua presenza quasi costante sui
mezzi d’informazione per interagire con le
persone sta dando ottimi risultati”, ha detto
Del Franco.
La presidente ha preso l’abitudine di fare lunghi discorsi davanti ai ministri del suo
governo, agli imprenditori e ai suoi simpatizzanti. Li riunisce in un salone della Casa
rosada e gli parla dal podio con il tono di c  si rivolge a un gruppo di amici. “Tu mi hai
visto in camicia da notte”, ha detto a un giovane  dirigente  in  uno  di  quest’incontri.
“Guardate questo pelato”, si è messa a ridere in un’altra occasione, indicando la foto
del ministro spagnolo dell’economia sulla
prima pagina del País. Questi scambi colloquiali avvengono anche dal vivo e in diretta:
parla al paese dalla tv pubblica.
“Dal 2011 Cristina ha uno stile sempre
più personale”, aferma Perechodnik. “Sostiene che è la ‘sua’ eredità, ma ha messo da
parte le scelte politiche e i protagonisti degli
ultimi anni. Quello era il kirchnerismo. Poi
è cominciato il cristinismo”. Ha creato un
nuovo gruppo politico, La Cámpora, guidato formalmente dal iglio Máximo. I dirigenti principali della Cámpora occupano
vari posti chiave del governo e sono diventati i suoi portavoce. Ma nessuno ha lo spessore per essere eletto presidente. Nel cristinismo è nata l’idea di una riforma costituzionale per permettere alla presidente di
presentarsi per un terzo mandato.
Eugenio Zaffaroni è un giudice della
corte suprema di giustizia e un intellettuale
con una buona reputazione. È un sostenitore della riforma costituzionale, ma quando
gli abbiamo chiesto se avrebbe autorizzato
un terzo mandato presidenziale, ci ha traitto con lo sguardo: “L’Argentina ha già troppi
martiri. Volete uccidere la presidente? Non
si può chiedere uno sforzo simile a un essere umano”. Zafaroni vorrebbe introdurre il
sistema parlamentare all’europea. “Il presidenzialismo ha una natura perversa”, sostiene. “Chi vince per un voto si porta via
tutto e l’altro gli mette i bastoni tra le ruote.
Questa personalizzazione del potere ha un
retrogusto monarchico. Il parlamentarismo
non evita la crisi, ma almeno non entrerebbe in crisi il sistema stesso”.
Secondo Zafaroni, la rielezione è “infattibile”. Il 60 per cento degli argentini è
contrario a una riforma costituzionale che
introduca un terzo mandato, spiega Perechodnik. “Rielezione è una brutta parola in
Argentina”, conclude Zafaroni. Ma poi ammette: “Tutti si chiedono cosa succederà
nel 2015. La decisione dipende dalla presidente e io non so cos’abbia in mente”.
C’è un altro progetto interno al cristinismo che sembra ancora meno realizzabile.
Alcuni parlano della possibilità che Máximo succeda alla madre. Ma secondo i sondaggi, la maggior parte degli argentini non
lo conosce. Lo stesso vale per Alicia Kirchner, cognata di Cristina e ministra dello sviluppo sociale. “Il governo usa la riforma
costituzionale e Máximo perché ha bisogno
di creare delle aspettative e comprare il futuro”, aferma Perechodnik. Un altro consulente politico ha detto a titolo di “opinione personale” che né la riforma né la candidatura di Máximo andranno in porto. “Per
il 2015 bisogna pensare a un politico diverso, qualcuno con cui sia possibile stabilire
un accordo, una continuità di programmi e
di idee. Per esempio il governatore della
provincia del Chaco Jorge Capitanich”.
Capitanich è sempre stato un rappresentante leale del kirchnerismo e dei precedenti leader del Partido justicialista. Se il
peronismo accettasse la sua candidatura,
Scioli potrebbe decidere di sidarlo con un
suo partito.
Nel secondo semestre del 2013 ci saranno le elezioni legislative di metà mandato.
Poi si scatenerà la corsa per la successione,
e sarà una battaglia aperta. Per Cristina
questo può signiicare che la carriera politica condivisa con Néstor Kirchner durante la
maggior parte della sua vita si concluderà
tra due anni. Per sempre.
La  presidente  sta  per  compiere  sessant’anni e da quando il marito è morto ha
trovato una voce, una immagine e una po polarità che non aveva mai avuto prima. Le
hanno perino diagnosticato un tumore che
è risultato benigno. Ma forse questo è stato
l’ultimo favore che le ha reso Néstor.
Il giorno in cuilui  è morto, tra tutte le cose che Cristina ha perso e per cui ha pianto,
la più grande è stata forse il futuro.  u  fr
GLI AUTORI
Gabriel Pasquiniè un giornalista argentino
nato nel 1966. È fondatore e direttore della
rivista online El Puercoespín. Il suo ultimo
libro è Padres de la patria (Emecé 2012).
Graciela Mochkofsky è una giornalista
argentina nata nel 1969. È fondatrice del
Puercoespín. Ha scritto Pecado original.
Clarín, los Kirchner y la lucha por el poder
(Planeta 201

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