sabato 30 novembre 2013

1026 - Inchiesta - La sfida dei giovani cileni - oseina Licitra, Piauí, Brasile Il 17 novembre in Cile si vota per eleggere il presidente e rinnovare il parlamento. I leader del movimento studentesco sperano di mandare a casa i vecchi politici e cambiare il paese

I
l 21 maggio 2012, a Valparaíso, il
presidente cileno Sebastián Piñe-ra (di centrodestra) doveva pre-sentare il suo rapporto annuale:
un discorso in parlamento per in-formare il paese sulla situazione
politica e amministrativa. Quel giorno l’at-mosfera era particolarmente tesa. Nel mo-mento più intenso delle proteste studente-sche qualsiasi uscita pubblica di Piñera ga-rantiva, come minimo, un surriscaldamen-to degli animi dei cileni.
Dentro e fuori del parlamento c’era gen-te in attesa. All’interno, in un’atmosfera più
tranquilla, Jaime Parada, consigliere e mili-tante per i diritti civili delle minoranze di
genere, assisteva al discorso sapendo che
Piñera avrebbe parlato dell’omicidio di Da-niel Zamudio, un ragazzo omosessuale di
24 anni ucciso due mesi prima in un parco
di Santiago del Cile. La sua morte aveva
sconvolto il paese (il 28 ottobre 2013 un tri-bunale di Santiago ha condannato all’erga-stolo uno degli aggressori). Fuori, gli stu-denti manifestavano contro il presidente.
Erano guidati da Giorgio Jackson (presi-dente  della  Federazione  studentesca
dell’università  cattolica  del  Cile,  Feuc),
Francisco Figueroa (ex vicepresidente della
Federazione  studentesca  dell’università
del Cile, Fech) e Camila Vallejo, vicepresi-dente della Fech. Grazie a un discorso per-fetto e a una bellezza mozzaiato, Camila
Vallejo ha dato una voce e un volto al movi-mento studentesco su tutti i mezzi d’infor-mazione del mondo.
Camila Vallejo e Jaime Parada, che sono
amici, si tenevano in contatto mandandosi
messaggi su Whatsapp. Uscito dal parla-mento, Parada l’ha cercata tra la folla ino a
quando non ha visto la scena: in lontanan za, nella confusione delle proteste, Camila
avanzava circondata da un cordone di com-pagni della Juventudes comunistas, il suo
partito, che la proteggeva dalle persone che
volevano avventarsi su di lei: un’orda di mi-litanti di estrema sinistra le gridava “ven-duta” e “traditrice”, decine di giornalisti
lanciavano domande al vento e qualche fur-betto cercava il momento giusto per allun-gare la mano e toccarle il sedere gridandole
“dammi un iglio”, “fatti leccare le tette”,
“diventiamo amici su Facebook”.
“Camila è ammirata ma anche molto
odiata, soprattutto dall’estrema sinistra,
che la considera una venduta e non perde
occasione di farglielo sapere. Ma lei riesce
a  convivere  con  questo  e,  osservandola
camminare tra la folla, sembrava che non
stesse succedendo niente. Per me quella
scena spiega meglio di qualunque altra la
complessità del movimento studentesco
cileno: il più grande sollevamento sociale
dalla ine della dittatura di Augusto Pino-chet”, racconta Jaime Parada un anno e
mezzo dopo, mentre prendiamo un tè in
un bar di Santiago.
Dimensione estetica
Il 17 novembre in Cile si svolgerà il primo
turno delle elezioni per il nuovo presidente
della repubblica e il rinnovo del parlamen-to. Molti leader della rivolta giovanile – tra
cui Camila Vallejo, Giorgio Jackson e Fran-cisco Figueroa – cercheranno di entrare in
un parlamento dove da vent’anni ci sono
dei  dinosauri  della  politica.  Loro  hanno
un’età media di ventisei anni
Ma il salto non è così semplice. Non tutti
i candidati giovani si presentano con lo stes-so partito, e Camila Vallejo è arrivata più
lontano degli altri assumendo un ruolo più complesso. Ha ripetuto ino allo sinimento
che non avrebbe mai votato per l’ex presi-dente Michelle Bachelet (2006-2010), oggi
di nuovo candidata, perché durante la sua
presidenza aveva fatto poco per migliorare
la situazione della classe media e dei lavo-ratori. Quest’anno, però, Vallejo ubbidisce
agli ordini del suo partito e si presenta in
parlamento sostenendo la candidatura di Bachelet alla presidenza. Una scelta che ha
avuto delle conseguenze. “Falsa”, “putta-na”, “bugiarda”, “pupazza” sono solo alcu-ni degli aggettivi con cui viene deinita Ca-mila Vallejo da quando è entrata nella Con-certación, la coalizione di partiti e di movi-menti di centrosinistra nata in Cile nel 1990
con il ritorno alla democrazia. La coalizione
(che dal 30 aprile 2013 e con l’aggiunta di
qualche partito di sinistra si chiama Nueva
mayoría) è cresciuta con la promessa, per
molti non mantenuta, di restituire ai citta-dini i diritti sociali persi durante i diciasset-te anni di dittatura militare.
“Non  sono  rigida  né  ideologica.  Ho  i
miei princìpi, ma so anche cosa sono la tat-tica e la strategia, e mi rendo conto che per
fare  dei  passi  avanti  sulle  questioni  oggi  all’ordine del giorno in Cile serve una buo-na collaborazione tra le forze politiche”,
aferma Vallejo.
Camila Vallejo è forte, ma è anche bella.
Così bella che è impossibile leggere il movi-mento studentesco come un’impresa poli-tica svincolata dalla sua dimensione esteti-ca.  La  sua  bellezza  ha  portato  il  Cile  sui
mezzi d’informazione di tutto il mondo: nel  2011 il settimanale tedesco Die Zeit le ha
dedicato una copertina, i lettori del Guar-dian l’hanno eletta persona dell’anno e il
New York Times l’ha deinita la “rivoluzio-naria più glamour”. L’attenzione interna-zionale ha consolidato le basi del movimen-to, raforzandone la portata e il potere poli-tico.
“Camila è intelligente, ma se fosse stata
grassa e avesse avuto i bai non sarebbe ar-rivata dov’è ora”, sostiene Patricio Fernán-dez, direttore del settimanale The Clinic,
l’unico giornale di opposizione e con una
difusione capillare in Cile.
“Alla destra dà fastidio che Camila sia
bella,  perché  loro  associano  la  sinistra
all’idea di bruttezza. Usano termini dispre-giativi per riferirsi a lei e fanno battute come
‘i comunisti stanno facendo un casting?’. I
maschi con Camila e le donne con Giorgio:
così due anni fa era deinita la sessualità del
Cile”, spiega Jaime Parada.
In questi giorni Jaime mi ha dato una
mano. Prima di arrivare a Santiago ho pro-vato a issare un incontro con Camila Val-lejo e, con mia sorpresa, mi è stata concessa
mezz’ora per un’intervista. Incontro Parada
in un bel bar di Providencia, il terzo comu-ne più ricco del Cile (il paese è diviso in ses-santa distretti elettorali), dove nel 2012 è  stato eletto consigliere. Lui e Vallejo si sono
avvicinati in quel periodo. Militano in due
partiti che all’interno della sinistra sono in
conlitto (Camila è del Partido comunista,
Parada del Partido progresista), ma sono
diventati amici anche grazie a un fatto: po-tevano farsi vedere insieme senza scatena-re pettegolezzi, perché Jaime è omosessua-le.
Jaime Parada accompagna il tè con una
torta alle noci. Ha quasi trentasei anni, è
cresciuto in una zona ricca di Santiago e ha
frequentato l’università quando il modello
neoliberista imposto da Pinochet e insegui-to  dai  governi  democratici  viveva  il  suo
massimo splendore.
La rivoluzione dei pinguini
Fino al 2011 il Cile era considerato il giagua-ro dell’America Latina: un paese dove, se-condo la Banca mondiale, c’era quasi piena
occupazione, i poveri erano solo il 14 per
cento della popolazione e lo stato funziona-va bene. Ma nel 2011 il movimento studen-tesco ha portato alla luce le distorsioni di
questo modello. Ed è emerso che la vita dei
cileni della classe media e dei lavoratori era
stata aidata in tutto e per tutto al settore
privato e che, per assicurarsi dei diritti fon-damentali  come  la  sanità,  una  pensione dignitosa e l’istruzione, bisognava indebi-tarsi ino al collo.
Perché la protesta è partita dagli studen-ti e non dagli anziani o dai malati? Perché la
transizione  cilena  ha  creato  intorno
all’istruzione un ideale di ascesa sociale
che, nonostante le buone intenzioni, pre-servava i princìpi della scuola di Chicago
voluti da Pinochet. Tutti, si diceva, poteva-no realizzarsi come persone grazie allo stu-dio, fermo restando che le università erano
care  e  a  pagamento,  e  obbligavano  gran
parte della popolazione a indebitarsi con le
banche per poter studiare.
Con  gli  anni  le  crepe  di  questo  mito
dell’istruzione sono venute alla luce. Mi-gliaia di studenti si laureavano (o abbando-navano gli studi) pieni di debiti e, nel mi-gliore dei casi, con un titolo di studio che
non li aiutava a trovare un buon lavoro per-ché molte università avevano un livello ac-cademico bassissimo. L’istruzione si è tra-sformata in un esempio perfetto di come
alcune trappole istituzionali nate durante la
dittatura non erano scomparse con il ritor-no alla democrazia. E i giovani, rappresen-tati da Camila Vallejo, Giorgio Jackson e
Francisco Figueroa, hanno reagito.
“Sono stati il volto di un movimento che
ha messo a nudo la parte più contradditto- ria del Cile”, dice Jaime Parada. “Per la pri-ma volta hanno fatto pensare ai cileni che
tra chi faceva politica c’era qualcuno che si
contrapponeva davvero all’establishment.
Ma paradossalmente ora passa all’establi-shment, perché Camila è candidata al par-lamento”.
La decisione di Camila Vallejo (che in
realtà è stata presa dal Partido comunista)
ha una spiegazione e per capirla bisogna
pensare al sistema politico che il Cile si tra-scina dietro dai tempi della dittatura di Pi-nochet.
Il sistema elettorale cileno è binomina-le: il paese è diviso in sessanta distretti e
ogni distretto elegge due deputati, per cui
in parlamento ci sono in tutto centoventi
deputati. Il sistema prevede un’elezione per
liste: le due liste che ottengono più voti in
ogni distretto avranno un loro deputato in
parlamento. La nota a piè di pagina è che le
due liste principali sono sempre le stesse: la
Alianza, la coalizione di destra a
cui appartiene il presidente Piñe-ra, e la Concertación (oggi Nueva
mayoría), la cui esponente princi-pale è Bachelet. A tutte le elezioni
e in tutti i distretti la Alianza e la
Concertación ottengono un seggio a testa,
per cui il congresso è sempre diviso in due
metà esatte. Questo spiega perché in Cile
sia impossibile far passare delle riforme ra-dicali, visto che le leggi devono essere ap-provate da più della metà del parlamento.
A diferenza dei piccoli movimenti, la
Alianza e la Concertación – coalizioni che
raggruppano diversi partiti politici – posso-no presentare entrambe due candidati per
distretto. Al momento del conteggio dei vo-ti, con una sorta di doppio turno simulta-neo,  le  coalizioni  potranno  sommare  le
preferenze ottenute a favore di un partito. I
movimenti più piccoli, invece, possono pre-sentare  solo  un  candidato.  Per  questo
chiunque decida di presentarsi da indipen-dente (è il caso di Giorgio Jackson o Franci-sco Figueroa) dovrà darsi ancora più da fa-re: non lotta contro due candidati, uno della
Alianza e uno della Concertación, ma con-tro quattro.
E per questo motivo il Partido comuni-sta ha stretto un accordo con Bachelet. Se-condo molti cileni, non è una spiegazione
suiciente. L’ala più radicale del movimen-to studentesco, ancora vivo ma senza i lea-der e lo slancio del 2011 e del 2012, crede
che Camila Vallejo abbia voltato le spalle
agli studenti e faccia parte di un partito di-sposto al compromesso pur di assicurarsi
qualche seggio in parlamento.
Il movimento studentesco guidato da
Camila Vallejo, Giorgio Jackson e Francisco
Figueroa è stato l’ultimo e il più forte tra
quelli cominciati alla ine degli anni novan-ta. Il precedente più importante risale al
2006 ed è stato deinito “rivoluzione pin-guina”: gli studenti degli istituti superiori
(con la tipica divisa giacca blu e camicia
bianca) scesero in piazza contro un’istru-zione costosa e scadente. I ragazzi chiede-vano  la  statalizzazione  del  sistema
dell’istruzione e una deroga alla Ley orgá-nica constitucional de enseñanza (Loce),
promulgata nel 1990 da Pinochet. I pingui-ni obbligarono Bachelet a sostituire il mini-stro dell’istruzione, Martín Zilic, e a sedersi
con loro al tavolo delle trattative. Sembrava
che avrebbero ottenuto quello che voleva-no: Bachelet creò una commissione com-posta da studenti, intellettuali e imprendi-tori che ha sostituito la Loce. La nuova leg-ge, però, aveva poco a che vedere con le ri-vendicazioni  degli  studenti:  ancora  oggi
l’insegnamento continua a essere
aidato al settore privato e le fa-miglie si indebitano per far stu-diare i igli.
Di quel dialogo frustrato resta
una foto che oggi è un simbolo
della “trufa progressista”. Nell’immagine
si vede Bachelet che festeggia la nuova leg-ge sventolando una piccola bandiera del
Cile con i rappresentanti di tutti i partiti,
compresi quelli di destra.
Mediocrità
Questo precedente ha segnato le basi della
protesta del 2011. Gli studenti hanno anco-ra a che fare con un sistema di istruzione
costoso e di bassa qualità. Oggi un corso di
laurea in Cile costa tra i quattromila e i sei-mila dollari all’anno. Dato che moltissimi
studenti non possono sostenere una spesa
del genere (metà della popolazione cilena
guadagna  cinquecento  dollari  al  mese),
quasi tutti ricorrono al cosiddetto “crédito
con aval del estado”, una tipologia di presti-to nata durante la presidenza di Ricardo
Lagos (2000-2006): gli studenti si indebi-tano con le banche private con tassi che li
obbligano, una volta initi gli studi, a resti-tuire quasi il doppio dei soldi chiesti in pre-stito.
Nell’aprile del 2011, durante la presiden-za di Sebastián Piñera – un politico di destra
ed ex studente di Harvard – è scoppiata una
bomba  sociale:  i  giovani  sono  diventati
l’avanguardia di una protesta che aveva ol-trepassato le mura universitarie e si stava
guadagnando il sostegno popolare. Nel di-cembre del 2011 gli studenti avevano già costretto due ministri dell’istruzione a di-mettersi  e  avevano  portato  la  riforma
dell’istruzione al primo posto nel program-ma del governo. Le pressioni studentesche
e i successi della protesta erano gestiti e rap-presentati da igure che abbracciavano tut-to lo spettro del movimento: Camila Vallejo
presiedeva  la  federazione  universitaria
dell’università del Cile, un’istituzione laica
e pubblica frequentata dalla classe media
istruita; Giorgio Jackson presiedeva la fede-razione universitaria dell’università cattoli-ca, frequentata dagli ambienti conservatori
del paese.
“Alla Cattolica gli studenti poveri si ve-stono  come  dei  ricchi.  All’università  del
Cile i ricchi si vestono come dei poveri”,
sintetizza lo scrittore Rafael Gumucio in un
bar del Drugstore dove si ritrova una buona
parte degli intellettuali di Santiago. “Cami-la mi sembra l’aspetto meno interessante di
tutto il movimento”, dice. “Quelli della gio-ventù comunista si somigliano tutti. Invece
Giorgio, per non parlare di Francisco Figue-roa  che  rispetto  profondamente,  hanno
qualcosa di diverso”.
Secondo Gumucio, Giorgio Jackson è
stato la parte più elegante della protesta
studentesca. Nel periodo delle manifesta-zioni viveva con la madre e con le sue quat-tro  sorelle  a  Las  Condes,  un  quartiere
dell’alta borghesia che ha lasciato l’anno
scorso. Ora Jackson abita insieme ad altri
amici in una casa a Providencia.
Poco dopo aver parlato con Gumucio
suono il campanello di casa di Giorgio Jack-son.  Mi  accoglie  Auska  Ovando,  il  capo
dell’ufficio  stampa  della  sua  campagna
elettorale. Giorgio sta facendo un’intervista
alla radio nella stanza accanto. “Venti mi-nuti con il braccio piegato per tenere il tele-fono, devo proprio cambiarlo”, dice uscen-do dalla stanza. Con l’altro braccio prende
un piccolo condizionatore che produce un
debole getto di aria tiepida. Fa freddo. Jack-son si siede e si massaggia il bicipite. Ieri e
oggi ha fatto troppe interviste.
“Queste elezioni sono molto ideologiz-zate e complesse da un punto di vista politi-co.  Alcuni  compagni  ci  criticano  perché
vogliamo entrare in parlamento, ma è lì che
si gioca la battaglia. Più del 90 per cento dei
parlamentari si presenta per la rielezione:
non se ne vogliono andare. Dobbiamo but-tarli fuori. Quando il governo dice che in
Cile l’istruzione non può essere gratuita
perché non ci sono le risorse necessarie, gli
rispondiamo che non è vero: siamo un pae-se con un reddito pro capite di ventimila
dollari all’anno. Il punto è che serve una ri-forma iscale perché oggi la media di venti-mila dollari è valida solo per meno del 10
per cento della popolazione”.
Jackson snocciola dati con grande facili-tà. Alcune ore prima Rafael Gumucio mi ha
raccontato un aneddoto: poco dopo l’inizio
delle  proteste  studentesche,  The  Clinic
aveva proposto agli studenti di realizzare
un numero interamente dedicato al movi-mento. La proposta era di mettere in coper-tina Camila Vallejo nuda e sulla quarta di
copertina Giorgio Jackson, anche lui nudo,
visto da dietro. Julio Sarmiento, dirigente
del Partido comunista, compagno di Vallejo
e invitato alla riunione, ha traitto con lo
sguardo tutti i giornalisti presenti. “Con no-stro grande stupore abbiamo capito che non
avevano il senso dell’umorismo. Ho 43 anni
e la mia generazione è quella del punk e del-la visibilità. Ci siamo detti: ‘Facciamo que-sta copertina e verrà giù il mondo’, ma loro
hanno  preso  tutto  molto  sul  serio.  C’era
un’atmosfera seriosa. Gli articoli che man-davano per il giornale erano studi sociologi-ci con interviste a esperti e specialisti. Non
avevano nulla di giovanile e, come se non
bastasse, ogni decisione veniva presa dopo
discussioni ininite”, ha detto Gumucio.
“La gente ci ha sempre accusato di esse-re dei vagabondi o dei sognatori, giovani e  idealisti”, aferma Jackson. “Come poteva-mo demolire questi pregiudizi? Usando se-rietà e rigore su certe questioni, facendo
interviste all’estero, citando cifre e parlan-do senza fare poesia. Ma la gente si ida così
poco dei politici che non abbiamo dovuto
sforzarci per essere credibili. Bastava non
essere mediocri”.
Anche Francisco Figueroa si candida.
Lo fa nello stesso movimento (Izquierda
autónoma) di Gabriel Boric, un altro leader
delle manifestazioni studentesche che ha
fatto la campagna elettorale nel sud del Cile
e ha gli stessi problemi di Giorgio Jackson.
Entrambi (Figueroa e Jackson) sanno di lot-tare contro due grandi macchine politiche
(anche se Jackson è aiutato dalla Nueva ma-yoría) e sanno che probabilmente la loro
vittoria  dipende  soprattutto  dai  giovani.
Questo a sua volta richiede un doppio sfor-zo: prima di convincere i giovani a votare
per loro, devono convincerli ad andare a
votare.
Dal 2012 in Cile votare è volontario e c’è
una grande siducia nel potere di cambia-mento del voto. Il giorno delle elezioni mol-ti giovani, anche se interessati alla politica,
preferiscono restarsene a casa.
Giorgio Jackson si alza e si allontana per
fare un’altra intervista alla radio. “Non sono
bravo con la tecnologia, ma credo che aiuti
ad avvicinare le persone e a far capire ai gio-vani che non serve fare carriera politica per
essere un soggetto politico”, dice al suo ri-torno. “Io ho scelto la carriera politica, que-sta è l’unica diferenza. Ma per il resto sono
come loro e ho i loro stessi problemi”.
Uno dei problemi comuni ai ragazzi cile-ni è il ritardo negli studi. Nel 2011 migliaia
di universitari sono stati disposti a pagare il
prezzo di una militanza politica a tempo
pieno e a perdere l’anno. Quindi molti ter-mineranno l’università in ritardo. Questa
settimana Jackson consegnerà la sua tesi in
ingegneria. Anche Vallejo si sta laureando.
Tra qualche ora i giornali annunceranno
che “si è laureata con lode”. Ma nessuno
scriverà che deve restituire alla banca dieci-mila dollari.
Trampolino di lancio
È mercoledì mattina e c’è il sole. L’uicio
stampa di Camila Vallejo mi dà un appunta-mento per l’intervista a La Florida, il comu-ne della classe media dove lei è candidata.
Il centro operativo della sua campagna elet-torale si trova in un semplice complesso
residenziale a cui si accede attraversando
un portone sorvegliato: è un piccolo appar-tamento che ruota intorno al salone. All’in-gresso c’è un enorme manifesto con il volto
di Vallejo e al centro della sala c’è un lungo
tavolo dove sono sedute sette persone che
fanno colazione. Fa freddo.
“Accomodati, Camila sta arrivando”.
Ad accogliermi c’è Evelyn, la responsa-bile dell’uicio stampa con cui ho negoziato
ino all’ultimo i minuti dell’intervista. Non
c’è stato niente da fare: Evelyn è irremovi-bile. Ed è marxista. Fa parte di una struttura
che ha fatto della disciplina una caratteristi-ca  fondamentale  e  ha  scelto  Vallejo  non
solo per la sua intelligenza e la sua bellezza,
ma anche per la sua disponibilità a sotto-mettersi alle regole imposte dal partito.
È questa la ragione della critica più forte
rivolta a Camila durante le elezioni della
federazione universitaria nel 2012: aver ob-bedito più al Partido comunista che al mo-vimento studentesco. La paura era che que-sto portasse il movimento a entrare in con-tatto con i politici tradizionali della Concer-tación. In quell’occasione Vallejo è arrivata
seconda dietro Gabriel Boric, uno studente
di legge con un atteggiamento più radicale.
Il mandato di Vallejo è terminato il 28 no-vembre 2012 e oggi lei è una delle leader più
forti della coalizione di centrosinistra gui-data da Bachelet, Nueva mayoría.
Finalmente arriva. La pancia le spunta dal vestito nero (è incinta) ed è ancora più
bella che in foto. “Camila è intelligente, ma
è stata la sua bellezza il trampolino di lancio
che  l’ha  resa  l’ingranaggio  d’oro  di  una
macchina più o meno arrugginita”, sostiene
il direttore di The Clinic.
“Credo che la questione della bellezza le
faccia venire l’ansia da palcoscenico”, so-stiene Gumucio. “Camila non ha una voca-zione da artista. Quando si parla del suo
aspetto isico è a disagio”. “La bellezza di
Camila ci ha aiutato”, ammette Francisco
Figueroa. “Si è difusa l’idea che noi diri-genti studenteschi fossimo degli eroi apol-linei, anche se non era così. Gabriel Boric
era grasso, Giorgio sta perdendo i capelli, io
ho le occhiaie e all’epoca non avevamo ne-anche il tempo di farci la doccia tutti i gior-ni.  Ma  la  bellezza  di  Camila  ha  creato
un’idea del buono e del bello. Credo che sia
stato fondamentale. La ragione principale
per cui si è parlato della sua elezione alla
Fech non era il cambiamento alla presiden-za: non importava a nessuno. L’unica cosa
che contava erano i suoi occhi”.
Vallejo si siede e poggia i gomiti sul tavo-lo. Intorno a lei c’è un sacco di gente: questa
mezz’ora non sarà proprio intima. Qualcu-no parla al telefono, qualcuno la aggiorna
sulla  campagna  elettorale  e  qualcuno  le
chiede come sta andando la gravidanza. A
venticinque anni e pur essendo un’icona
sexy per molti cileni, Camila Vallejo ha de-ciso di diventare madre insieme a Julio Sar-miento, suo compagno di vita e di militan-za.  Quando  parla  della  figlia,  dice:  “Noi
donne  ci  chiediamo  sempre  se  saremo
all’altezza, non sono l’unica a farmi queste
domande.  L’importante  è  garantire  alla
bambina  tutto  l’amore  di  cui  avrà  biso-gno”.
“Garanzia” è una parola fondamentale
nel linguaggio del mercato ed è stata cen-trale anche nel movimento studentesco ci-leno. Dopo una lunga serie di trufe politi-che, gli studenti hanno capito che bisogna-va lanciare segnali aidabili per garantire
che dalle proteste nascessero dei cambia-menti. Ecco perché oggi molti si candidano:
per avere garanzie, se non di amore, alme-no di non essere raggirati. Per questo l’alle-anza tra Camila Vallejo e Michelle Bachelet
ha sollevato tante polemiche.
“Quanto è stato duro afrontare queste
critiche?”.
“Credo che la discussione rientri nel di-battito su cosa signiica essere più o meno
di sinistra. Uno dei problemi della sinistra è
proprio quello di non riuscire a stabilire una
volta per tutte chi è più di sinistra dell’altro.
Io ho i miei princìpi, ma so cosa sono la tat tica e la strategia. Personalizzare troppo le
cose non ha senso, oggi tutti i candidati alla
presidenza hanno un passato più o meno
discutibile e se ci basassimo su questo para-metro resteremmo molto soli”.
Questo atteggiamento conciliante le sta
garantendo il sostegno di molti, al punto
che oggi non è più una semplice candidata
al parlamento, ma l’oggetto di aspettative
maggiori all’interno dell’alleanza di centro-sinistra. La sua immagine potrebbe riuscire
in un’impresa: raddoppiare i voti rispetto
alla destra e fare in modo che Nueva ma-yoría ottenga non uno, ma due deputati in
parlamento per La Florida. Questa scom-messa ha un efetto logistico (una squadra
di persone lavora ainché Camila Vallejo
arrivi in parlamento), ma anche una contro-partita:  Vallejo  potrebbe  perdere  in  fre-schezza. Il giorno della sua laurea, invece di
festeggiare come qualsiasi altra donna di
venticinque anni, si è limitata a scrivere un
tweet: “Grazie mille x gli auguri, è stata du-ra ma ce l’abbiamo fatta!”.
Chiedo a Vallejo della laurea e del suo
debito.
“Appartengo alla classe media e tutta la
classe media in Cile è indebitata”, dice. “È
un dato che non rientra nelle statistiche sul-la povertà. Siamo persone senza nessuna  tutela sociale che devono indebitarsi per
tutto,  perché  in  Cile  bisogna  pagare  per
qualsiasi cosa. Ho un debito di diecimila
dollari, ma almeno ho avuto la fortuna di
ottenere il mio prestito dal Fondo solidale.
Ci sono casi molto peggiori. Ci sono perso-ne che non iniscono gli studi e comunque
devono pagare il loro debito”.
Camila Vallejo parla con un tono mode-rato. Durante l’intervista usa parole come
“progetto”, “istruzione” e “gruppo”, e la
cosa strana non è quello che dice, ma la lo-gica perfetta con cui espone le sue idee. Vi-cino a noi, Evelyn controlla l’ora sul cellula-re e mi guarda con insistenza. Il mio tempo
è scaduto.
Un monito per il futuro
“Non crediamo che, se diventeremo depu-tati, potremo realizzare i desideri dei mani-festanti. Non vogliamo vendere quest’idea,
perché le cose sono molto più complicate di
così. È una lotta lunga e oggi siamo in dii-coltà, stiamo perdendo. Quand’era presi-dente Michelle Bachelet ha avuto l’oppor-tunità di fare qualcosa e l’ha sprecata. Oggi
sta provando ad assorbire nella coalizione il
movimento studentesco”.
Francisco Figueroa non è molto ottimi-sta. L’ho incontrato perché volevo chiudere
quest’articolo con una nota di ottimismo,
ma ho fatto male i conti. Considerato da
tutti una delle menti più brillanti del movi-mento studentesco, Figueroa vive in cen-tro, in una zona universitaria, ed è un ragaz-zo pallido e magro. Il suo appartamento è al
ventiquattresimo piano di un grattacielo
che si trova a pochi metri di distanza dalla
Casa centrale dell’università del Cile, l’epi-centro delle proteste del 2011. Di quei giorni
Figueroa ricorda poco: tutto è immerso in
una grande confusione fatta di assemblee,
riunioni,  dibattiti,  viaggi  e  interviste.
All’epoca stava per laurearsi in giornalismo,
era vicepresidente della Fech e, dopo quat-tro anni dentro la federazione, era diventa-to uno degli interpreti più acuti del movi-mento.
Seduto nel suo salotto (vive insieme alla
idanzata), mentre serve il cafè e mette dei
biscotti su un tavolino, Francisco Figueroa
non sembra un ragazzo aggressivo. È genti-le e calmo. E con tranquillità sostiene che le
elezioni del 17 novembre non sono un even-to di cui andare ieri.
“Michelle Bachelet vincerà senza pro-blemi, ma questo non è indicativo di quello
che sta succedendo in Cile. La transizione
inirà quando terminerà questo modello di
stato. Credo che sia la richiesta di fondo del
movimento. È una protesta contro la inan- ziarizzazione della società e, ino a quando
la richiesta non si tradurrà in gesti politici,
vivremo un periodo di agonia legato al pas-sato, senza che nascano nuove proposte.
Noi di Izquierda autónoma ci presentiamo
a queste elezioni per continuare a demolire
l’ediicio della transizione. Per lasciare spa-zio alla novità crediamo che serva uccidere
il passato. Sappiamo che è una pazzia cerca-re di rompere il sistema binominale da indi-pendenti, ma non siamo pazzi. Siamo idu-ciosi e abbiamo tempo”, dice.
Magro  e  con  gli  occhiali,  sulle  prime
Francisco Figueroa sembra inofensivo. Ed
è forse questo aspetto – comune a molti stu-denti – ad aver creato il maggiore equivoco
tra i politici di professione. Figueroa è inito
sulle prime pagine dei giornali dopo un’in-tervista sulla Cnn Chile in cui ha fatto anda-re su tutte le furie Sergio Bitar, ex ministro
dell’istruzione durante il governo di Ricar-do Lagos. Bitar era uno dei nemici principa-li del movimento studentesco e Francisco
Figueroa era seduto proprio accanto a lui in
uno dei talk show più importanti del paese.
“La Concertación e la destra devono de-cidere se vogliono continuare a essere il
braccio politico delle banche”, ha detto Fi-gueroa a un certo punto. “Perché in questo
paese le banche sono andate a bussare alla
porta della Concertación e della destra per
assicurarsi una nicchia di mercato e lei, mi-nistro, ha aperto quella porta”.
Prima che Bitar potesse parlare, il pre-sentatore ha fatto vedere un graico sul li-vello di indebitamento degli studenti. Bitar
sembrava respirare a fatica.
“È un’insolenza pensare che tu abbia
l’autorità morale e che noi non abbiamo lot-tato per…”.
“Lei non ha autorità morale”.
“Vuoi fare una politica migliore, allora
entra in politica e rispetta le persone! Io ho
dedicato tutta la mia vita alla politica. Non
sono stato ministro di Salvador Allende,
non sono inito in carcere, non sono andato
in esilio perché poi oggi venga un ragazzino
a dirmi certe cose”.
Figueroa lo osservava, calmo. Il presen-tatore ha concesso altri trenta secondi a
entrambi. Bitar ha preso la parola per pri-mo. Le rivendicazioni sociali arrivavano da
una generazione nata con la democrazia,
che non conosceva la paura, era libera dai
traumi della dittatura e a cui le solite cre-denziali (“sono stato perseguitato” o “sono
stato con Salvador Allende”) sembravano
importanti, ma non al punto da giustiicare
qualsiasi errore politico.
“Non mi ero reso conto che il dibattito
fosse stato così importante”, racconta Fran-cisco. “Sapevo che Bitar era un tipo irascibi-le, ma …”.
“Hai una copia del programma?”.
“Si trova su YouTube”.
“L’aspetto positivo di questa storia”, ha
detto Figueroa nella trasmissione quando è
arrivato il suo turno, “è che certe decisioni
indecenti prese ai danni degli studenti e
delle loro famiglie non resteranno valide
per sempre perché la nostra generazione è
entrata in politica per restarci ed è questo
che davvero irrita l’ex ministro Bitar. Hanno
avuto il monopolio della politica”, Figueroa
ha guardato Bitar, “ma d’ora in avanti non
sarà più così”.
Francisco Figueroa si alza, va in camera
sua e torna con un libro che ha appena pub-blicato. In copertina c’è una foto delle pro-teste studentesche. Il titolo è Llegamos para
quedarnos (Siamo arrivati per restare) ed è
una cronaca della rivolta degli studenti ma
anche un monito per il futuro che, si sa, ap-partiene  soprattutto  a  quelli  che  hanno
tempo. u fr
L’AUTRICE
Joseina Licitra è una giornalista
argentina nata nel 1975. Il suo ultimo libro
è Los otros (Debate 2011

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