sabato 30 novembre 2013

1026 - PERSONAGGI - Mahinda Rajapaksa Statista o criminale?

l presidente dello Sri Lanka è
un politico astuto e popolare.
Ma secondo molti si è
macchiato di gravissimi crimini
di guerra. Il 15 novembre ospita
il vertice dei paesi del
Commonwealth




N
el profondo sud dello Sri
Lanka, dove la vita di so-lito procede lentamente,
c’è  una  cittadina  che  è
un po’ meno tranquilla
delle altre. Hambantota,
un  centro  di  circa  20mila  abitanti,  si  sta
espandendo rapidamente. Ci sono un nuo-vo, enorme porto costruito grazie ai 360
milioni di dollari arrivati in contanti dalla
Cina, un nuovo stadio di cricket da 35mila
posti, un enorme centro congressi e un ae-roporto internazionale. Una moderna rete
ferroviaria è in costruzione. Tante persone
potenti hanno puntato gli occhi su Ham-bantota. Ma nessuno è più potente e ambi-zioso del presidente Mahinda Rajapaksa,
nato da quelle parti nel 1945.
In questo periodo si sta costruendo mol-to in Sri Lanka. L’isola era già uno dei paesi
più ricchi dell’Asia meridionale, ma la sua
economia  è  stata  frenata  da  decenni  di
guerra civile. Adesso la guerra è inita, e se-condo il governo il pil sta crescendo con un
tasso del 7 per cento.
Dal 15 al 17 novembre lo Sri Lanka ospi-terà il vertice dei paesi del Commonwealth.
L’assegnazione del summit al governo di
Colombo  ha  generato  molte  polemiche.
Rajapaksa, al potere da otto anni, è molto
contestato – almeno in occidente. I princi-pali capi d’accusa nei suoi confronti sono
piuttosto gravi: si dice che abbia ignorato,
condonato o perino incoraggiato crimini di
guerra commessi dalle truppe dello Sri Lan-ka nelle fasi inali della campagna militare
contro le Tigri tamil. Lo accusano di aver
ignorato, condonato o forse persino ordina-to un’ondata di repressione contro chi con-testa la sua autorità o quella del suo gover-no. Di non aver fatto niente per favorire un
accordo  politico  con  la  minoranza  tamil
dello Sri Lanka, e di cercare in ogni modo di
espandere il potere della sua famiglia sul
paese. In altre parole, molti credono che
Rajapaksa  stia  trasformando  il  paese  in
un’autoritaria repubblica delle banane. Se è
vero che molte accuse hanno un fondamen-to di verità, la realtà è molto più complessa
di quanto potrebbe apparire. Di persona,
Rajapaksa somiglia più a uno zio bonaccio-Il presidente dello Sri Lanka è
un politico astuto e popolare.
Ma secondo molti si è
macchiato di gravissimi crimini
di guerra. Il 15 novembre ospita
il vertice dei paesi del
Commonwealth
Jason Burke, The Observer, Regno Unito
Foto di Lynsey Addario
ne che a un orco. Alto, piazzato, con una
stupefacente chioma voluminosa, lucida e
nera come carbone levigato, trasuda la bo-narietà cordiale da ex giocatore di rugby.
Ricorda i nomi, risponde per le rime e si as-sicura che i suoi ospiti, anche i giornalisti
venuti per metterlo sotto torchio, abbiano
sempre una tazza di tè davanti. Un altro
giornalista mi ha raccontato di averlo visto
alzarsi per prendere i biscotti. Gesti simili
rivelano un politico astuto, con uno stile in-formale coltivato con molta attenzione.
Quasi tutti i leader dello Sri Lanka indi-pendente sono stati colti, anglofoni, spesso
formati all’estero e originari di Colombo.
Rajapaksa è un avvocato senza laurea spe-cialistica ed è nato in una cittadina di picco-le dimensioni. Quindi è molto diverso dai
suoi predecessori, anche se proviene da una
famiglia con una lunga storia di attivismo
politico. Raramente indossa abiti occiden-tali, e nessuno l’ha mai visto in giacca e cra-vatta. Si dice che faccia colazione secondo
la tradizione nazionale, con cagliata di latte
di bufala e melassa di zucchero di canna. La
sua sciarpa color ruggine, ormai un marchio
di fabbrica, ricorda volutamente gli stracci
sudati dei contadini. Di solito in pubblico
Rajapaksa parla singalese – ma se la cava
pure in inglese, anche se non ha la scioltez-za di molti anziani politici dell’Asia meri-dionale – e conosce un po’ di tamil.
Guerra alle Tigri
Il problema principale di chi lo critica è che,
nonostante le elezioni siano state segnate
da casi di intimidazione, violenza e spreco
di fondi pubblici, pochi sono disposti a ne-gare la popolarità di Rajapaksa. Perino i
suoi oppositori ammettono che in questo
momento nel paese non c’è nessuno che
possa competere con lui. Ha uno zoccolo
duro di elettori conservatori e buddisti che
vivono nelle zone rurali a maggioranza sin-galese. Sono gli elettori che Rajapaksa ha
conquistato quando nel 1970 – aveva 24 an-ni, poca esperienza politica, un diploma di
laurea in legge e un padre famoso – è stato
eletto in parlamento. Gli stessi elettori lo
hanno sostenuto nel 2005, quando si è can-didato alla presidenza dopo aver ricoperto
per  un  anno  la  carica  di  primo  ministro.
L’antipatia e la paura che Rajapaksa ispira
nell’élite politica di Colombo è dovuta al
modo sfacciato con cui il presidente sfrutta
il suo status di outsider della politica.
I sentimenti che Rajapaksa provoca in
molti tamil – che rappresentano tra il dieci e
il 15 per cento della popolazione – hanno
un’origine diversa. Una delle principali pro-messe elettorali era stata quella di conclu- dere con un negoziato la feroce guerra con-tro le Tigri tamil, che governavano di fatto
gran parte del nord del paese. Questa posi-zione a un certo punto cambiò. In questo
cambiamento, e nella successiva campagna
miltare, ha avuto un ruolo importante Go-tabhaya Rajapaksa, segretario della difesa
e  fratello  del  presidente.  Nei  26  anni  di
guerra ci sono state molte tregue, l’ultima
nel 2002. Secondo i fratelli Rajapaksa e gli
alti gradi dell’esercito, queste tregue aveva-no permesso alle Tigri tamil di rifornirsi e di
riorganizzarsi. Con loro al governo, devono
aver pensato i fratelli Rajapaksa, le cose sa-rebbero andate diversamente: non ci sareb-be stata nessuna tregua, nonostante le pres-sioni internazionali.
L’esercito allora fu potenziato e l’idea di
un  negoziato  naufragò.  Un  alto  ufficiale
dell’esercito  dello  Sri  Lanka  ricorda  che
quando sulla scrivania del presidente arrivò
un rapporto sull’alto numero di vittime pro-vocate dall’esercito, Rajapaksa chiamò Sa-rath Fonseka, un giovane e spietato genera-le che era stato messo a capo della campa-gna militare, per esprimergli la sua preoc-cupazione. Fonseka disse che se il presiden-te non era pronto ad accettare l’eventualità
di vittime, avrebbe fatto meglio a dimetter-si. Lui rimase al suo posto.
Solo nelle ultime settimane della guerra
il mondo cominciò ad accorgersi di quello
che stava succedendo nelle aspre e cespu-gliose pianure del nord dello Sri Lanka. Du-rante la ritirata, le Tigri tamil sequestrarono
centinaia di migliaia di civili. In una serie di
interviste  rilasciate  all’Observer  il  mese
scorso, molti civili hanno descritto la situa-zione che vivevano in quel periodo: il man-cato rispetto delle zone di cessate il fuoco
da  parte  dell’esercito  e  l’ordine  imposto
dalle Tigri tamil di lasciare le loro case. Si è
anche scoperto che le Tigri non fecero mol-ti sforzi per distinguere i soldati dai civili.
L’esercito, da parte sua, bombardò e mitra-gliò a bassa quota tutta l’area, indiscrimina-tamente, uccidendo i leader delle Tigri ma
anche migliaia di civili.
Altri racconti, confermati dalle immagi-ni scattate dai soldati con i loro telefoni,
descrivono le tante esecuzioni sommarie
attuate dall’esercito nei confronti dei com-battenti ribelli e di alcuni civili. Sono questi
i presunti crimini di guerra sui quali le Na-zioni Unite vorrebbero che si indagasse in
modo credibile e trasparente. Rajapaksa ha
accusato le Nazioni Unite di fare gli interes-si delle grandi potenze. Questo tipo di reto-rica ha molto successo in un paese come lo
Sri Lanka – soprattutto se usata da un perso-naggio  che  ha  fondato  la  sua  carriera
sull’immagine di uomo rozzo che parla in
modo diretto – e può funzionare anche a li-vello internazionale. Nessuno dei vicini di
Rajapaksa ha molta voglia di ricevere lezio-ni dall’occidente.
Con la ine della guerra sono emersi an-che altri problemi. Si sono veriicati molti
casi (centinaia secondo alcuna stime) di ra-pimenti. I giornalisti sono sistematicamen-te minacciati. I sindacalisti e gli attivisti per
i diritti umani ricevono regolarmente “av-vertimenti”. La costituzione è stata modii-cata per consentire a Rajapaksa di correre
per un terzo mandato. Decine di suoi pa-renti occupano incarichi di governo, con-trollando (secondo alcune stime) la metà
della spesa pubblica del paese. Uno dei suoi
igli è stato indicato come suo successore.
“Siamo in una condizione di occupazio-ne totale dello stato”, ha detto J.C. Welia-muna, un importante avvocato per i diritti
umani di Colombo. In Asia meridionale fe-nomeni come la corruzione, il passaggio
dinastico del potere, lo sviluppo spropor-zionato delle città di origine dei leader in
carica e la marginalizzazione delle mino-ranze non sono un’eccezione. Negli ultimi
anni nello Sri Lanka i turisti e le rimesse so-no aumentati. Nel 2013 sono previsti inve-stimenti stranieri per un valore di due mi-liardi  di  dollari,  secondo  il  governo.  Ma
perino nella regione crescono le preoccu-pazioni sulla direzione intrapresa dallo Sri
Lanka. Tutte queste preoccupazioni saran-no accuratamente nascoste durante il verti-ce di Colombo. Gli unici capo di stato ad
aver riiutato l’invito sono il canadese Ste-phen Harper e l’indiano Manmohan Singh.
David Cameron ha dichiarato che i “mes-saggi duri” hanno più efetto se recapitati di
persona.  Rajapaksa  interpreterà  il  solito
ruolo del personaggio schietto e gioviale.
Ma se c’è qualcuno che recapiterà un mes-saggio duro, sarà proprio lui. u gim

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