venerdì 11 ottobre 2013

Il destino dei sopravvissuti Jordi Vaquer, El País, Spagna - Deportazioni, sfruttamento, arresti. I migranti arrivati in Europa iniranno in un limbo dove potrebbero restare per anni

B
arça ou barzakh! Barcellona o il
limbo! Tutto il Senegal conosce
questo grido, lanciato dai migranti
che afrontano il pericoloso viaggio verso
l’Europa su imbarcazioni inadeguate (lan-ce, zattere, carrette del mare, pescherecci
malmessi) rischiando la vita. Un viaggio
verso l’Europa o verso la morte. La lista
delle morti – e delle loro cause – avvenute
durante le traversate è un catalogo degli
orrori: ci sono morti per fame o freddo,
asissia, mine antipersona, omicidi e, so-prattutto, annegamento. Per ogni morto ci
sono centinaia di altre persone alitte non
solo dalla paura di fare la stessa ine ma
anche da quella di inire in un’altra lista di
orrori, che va dal furto allo stupro, dalle
conseguenze isiche permanenti alla pro-stituzione forzata. Tutto pur di arrivare
nella terra promessa, un’Europa sognata
come rifugio e opportunità per costruirsi
una nuova vita. Ma per i sopravvissuti del
naufragio di Lampedusa, come per tutti
gli altri che sono riusciti ad arrivare, sono
già pronti altri incubi, un interminabile
limbo in cui migliaia di persone restano
intrappolate per anni.
Molti sono destinati al rimpatrio, for-zato o volontario. Ma spesso il rimpatrio è
un eufemismo per la deportazione in pae-si di passaggio come il Marocco, la Libia o
la Tunisia, i cui governi non hanno i mezzi
né la volontà di riaccompagnare i migranti
nei paesi d’origine. Un altro limbo li aspet-ta: abbandonati per le strade ostili delle
città nordafricane, in paesi dove non han-no mai messo piede prima o nella terra di
nessuno nel Sahara, in balia delle mine
antipersona, dei contrabbandieri e del de-serto.
Per molti, la prima esperienza in Euro-pa sarà l’arresto. Troveranno condizioni
particolarmente diicili, soprattutto nei
paesi del sud dell’Europa, che violano si-stematicamente le normative europee e
internazionali e che ostacolano o vietano
l’accesso ai giornalisti e agli attivisti dei di-ritti umani. Il caso più conosciuto è quello
della Grecia, dove migliaia di immigrati
irregolari sono stipati in centri completa-mente inadeguati. Ma Atene non è sola. I
Paesi Bassi sono stati criticati più di una
volta per aver arrestato alcuni immigrati
pochi giorni dopo averli rilasciati. Persone
che erano state rimesse in libertà dopo la
scadenza dei diciotto mesi di detenzione.
È bene ricordare che stiamo parlando di
persone che non hanno commesso nessun
reato. E non si tratta solo di adulti: mino-renni e intere famiglie sono intrappolati
nel sistema senza che i loro diritti e le loro
necessità siano rispettati. I campi di de-tenzione, le sale nascoste dei grandi aero-porti e le carceri formano un limbo in cui
migliaia di persone passano giorni, mesi o
anni.
Anche quando riescono a sfuggire
all’arresto e al rimpatrio, le loro soferenze
non sono inite. I politici populisti e xeno-fobi come Le Pen in Francia o Umberto
Bossi in Italia spingono per trasformare
non solo la polizia ma tutti i cittadini euro-pei in guardiani contro gli stranieri. La tra-gedia di Lampedusa ha portato sotto i ri-lettori la legge italiana Bossi-Fini, ma non
si tratta dell’unico caso e neanche del più
estremo. In Germania i servizi sanitari che
assistono un immigrato in situazione irre-golare hanno il dovere di denunciarlo.
Senza il diritto di lavorare legalmente e
con un accesso sempre più limitato ai ser-vizi sociali, un altro limbo li accoglie: una
situazione di incertezza in cui tutto è ap-peso a un ilo. Le frontiere dell’Europa
sanguinano. Al punto che dieci o venti
morti a Lesbo o nello stretto di Gibilterra,
non fanno più notizia. Questi spazi senza
diritti stanno minando i princìpi fonda-mentali delle democrazie europee: non
solo lo stato di diritto ma anche la solida-rietà e la compassione tra le persone, il
principio umanistico senza cui la struttura
democratica è solo un guscio vuoto. u sb

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