venerdì 11 ottobre 2013

PERSONAGGI - Zahi Hawass Vita da faraone --- Joshua Hammer, Smithsonian, Stati Uniti

Per più di dieci anni è stato il
padrone assoluto del
patrimonio archeologico
egiziano. Poi è arrivata la
primavera araba, ed è stato
emarginato. Ma sta già
preparando il suo ritorno


A
ll’interno  della  camera
funeraria della piramide
a gradoni del re Djoser,
costruita cinquemila an-ni fa, Zahi Hawass indos-sa i suoi tipici abiti da sa-fari e il cappello a falde larghe. L’enorme
sala è immersa nella penombra ed è piena
di ponteggi. Il progetto di restauro e conser-vazione, avviato da Hawass nel 2002 nel
sito archeologico di Saqqarah, nei pressi del
Cairo, ha permesso di evitare il crollo del
soitto e delle pareti, ma ormai i tempi sono
cambiati.
Oltre ad aver rovesciato Hosni Muba-rak, la rivoluzione scoppiata all’inizio del
2011 ha messo ine al discusso regno di Ha-wass come responsabile della gestione dei
reperti archeologici dell’antico Egitto.
L’archeologo si guarda intorno con aria
sconsolata. I lavori di conservazione della
piramide sono fermi. In un tentativo dispe-rato  di  arginare  le  proteste,  Moustapha
Amine, successore di Hawass alla guida del
consiglio supremo per le antichità, nomina-to del governo dei Fratelli musulmani a ot-tobre del 2011, ha usato il denaro destinato
ai restauri per assumere migliaia di diplo-mati in archeologia. In sostanza “non ha
fatto nulla”, accusa Hawass mentre esami-na il tetto e le pareti di calcare. Nella sua
voce si percepisce un pizzico di maligna
soddisfazione.  Hawass illumina con la sua
torcia il sarcofago di granito del faraone
Djoser. Nel frattempo, io avanzo gattoni
lungo un cunicolo che fa parte di una rete di
tunnel lunga quasi otto chilometri, scavata
sotto la piramide nel ventisettesimo secolo
avanti Cristo. L’aria è piena di polvere. “Il
faraone defunto doveva percorrere queste
gallerie e afrontare le creature selvagge per
diventare Osiride, il dio dell’oltretomba”,
mi spiega Hawass mentre ritroviamo l’usci-ta e la luce del sole.
Secondo la mitologia egizia, Osiride re-gnò sulla terra ino a quando suo fratello, il
malvagio e geloso Seth, lo uccise e usurpò il
suo trono. La caduta di Osiride scatenò un
vortice di rivalità e vendette al termine del
quale Seth fu inalmente sconitto e Osiride
riportato in vita. Soltanto con il ritorno del
re l’ordine poteva tornare in Egitto.
La rivoluzione
Per più di dieci anni, Hawass è stato una
specie di Osiride dei reperti egizi. Ibrido
bizzarro tra un uomo di spettacolo e un eru-dito, ha regnato su un universo misterioso
fatto di sepolcri e templi. Nel frattempo, ha
condotto trasmissioni televisive seguitissi-me in cui indagava sui misteri del passato,
come il luogo della sepoltura di Antonio e
Cleopatra o la causa della morte di Tutank-Per più di dieci anni è stato il
padrone assoluto del
patrimonio archeologico
egiziano. Poi è arrivata la
primavera araba, ed è stato
emarginato. Ma sta già
preparando il suo ritorno
Joshua Hammer, Smithsonian, Stati Uniti
hamon. Con il passare degli anni, anche la
sua megalomania è diventata leggendaria. 
Nel programma “Sulle tracce delle mum-mie: le straordinarie avventure di Zahi Ha-wass”, trasmessa dal canale statunitense
History Channel, si vede l’archeologo men-tre impartisce ordini ai suoi collaboratori
con un tale sfoggio di autocelebrazione che
un critico del New York Times ha scritto:
“Speriamo che il dottor Hawass scopra una
scatola di antiche pillole calmanti e ne butti
giù una buona dose”.
In ogni caso, non ci sono dubbi sul fatto
che Hawass è riuscito a conquistarsi la sti-ma dei suoi colleghi e l’ammirazione di mi-lioni di egiziani. Nel 2001 la National Geo-graphic society l’ha nominato explorer in
residence, un riconoscimento che premia
scienziati ed esploratori in tutto il mondo.
Ha scritto molti libri, alcuni dei quali sono
diventati dei best seller, e ino a qualche
tempo fa chiedeva dai diecimila ai cinquan-tamila dollari per partecipare a una confe-renza. “Tutankhamon e l’età d’oro dei fara-oni”, una mostra itinerante che Hawass ha
messo in piedi a partire da circa sessanta
reperti custoditi nel museo egizio del Cairo,
ha portato nelle casse dello stato egiziano
circa 110 milioni di dollari al termine di una
tournée in sette città europee e statunitensi.
È stata una delle mostre più riuscite della
storia dal punto di vista economico.
Ma poi è arrivata la rivoluzione. Durante
i giorni delle proteste contro Mubarak al
Cairo, nel gennaio del 2011, Hawass è stato
violentemente attaccato dai manifestanti,
che l’hanno deinito “il Mubarak dei reperti
archeologici”, e l’hanno accusato di corru-zione. Un gruppo formato da dipendenti
pubblici del settore archeologico e laureati
disoccupati ha assediato l’uicio di Hawass
e  ha  chiesto  le  sue  dimissioni  gridando:
“Non dimenticarti il cappello”. Nel luglio
del 2011, dopo aver servito sotto due gover ni del post Mubarak, Hawass è stato costret-to a rinunciare alle sue funzioni. “L’hanno
scortato fuori del ministero attraverso una
porta nascosta e caricato su un taxi, bersa-gliato dagli insulti e dagli slogan dei giovani
archeologi”, racconta un blogger egiziano.
La scena è stata ilmata, e migliaia di egizia-ni hanno potuto vederla su internet.
Oggi Hawass paragona la sua caduta a
quella di Osiride. “Avevo molti nemici, i ne-mici del successo. Sono gli amici del dio
Seth,  il  dio  del  male  dell’antico  Egitto”.
Molti esponenti della comunità archeologi-ca sembrano condividere questa opinione.
“I risultati di qualsiasi altro egittologo im-pallidiscono davanti ai suoi. La sua carriera
e la sua notorietà hanno scatenato il risenti-mento di alcune persone”, spiega Peter La-covara, studioso dell’università Emory, ad
Atlanta, e amico di Hawass da molti anni.
“Le persone erano gelose del suo succes-so”, dice un egittologo statunitense che ha
chiesto di restare anonimo. Altri sono con-vinti che la sua caduta sia dovuta alla sfac-ciataggine e al modo di fare sprezzante, in-sieme alla totale incapacità di comprendere
il malcontento della popolazione alla vigilia
della rivolta contro Hosni Mubarak.
Qualunque siano i motivi, l’allontana-mento  di  Hawass  ha  generato  una  certa
preoccupazione per il futuro dei reperti egi-zi. L’archeologo ha suscitato molta ostilità,
ma è stato anche un competente e appas-sionato amministratore del patrimonio na-zionale, capace di “aggirare la burocrazia”,
come ricorda Naguib Amin, suo amico e
consigliere. Oggi, numerosi progetti (tra cui
quello di Saqqarah) sono a un punto morto,
e c’è chi sostiene che la caduta di Hawass
abbia avuto conseguenze negative sia per il
inanziamento sia per la gestione dei tesori
dell’Egitto. Il turismo rappresenta una fetta
importante dell’economica egiziana, e ri-spetto al 2010 il numero di turisti si è prati-camente dimezzato. “Il suo carisma faceva
scorrere il denaro”, sostiene Ali Asfar, diret-tore dell’istituto che si occupa della gestio-ne delle Piramidi. “Oggi nessuno può pren-dere il suo posto”.
Passione americana
Incontro Hawass in una fresca mattinata di
dicembre, nel suo uicio al nono piano di
un palazzo malmesso in un vivace quartiere
della capitale, vicino al Nilo. L’appartamen-to di due stanze si trova in fondo a un corri-doio lugubre impregnato da un forte odore
di cucina. Oltre ad Hawass, ci lavorano un
assistente e Tarek al Awady, suo collabora-tore storico. Uno degli obiettivi di Hawass è
sempre stato quello di rompere il monopo-lio occidentale sull’archeologia, che dura
dai tempi di Napoleone. Per riuscirci, l’ar-cheologo ha “favorito la formazione di gio-vani egiziani e gli ha oferto opportunità
senza precedenti”, spiega Lacovara.
Al Awady mi accompagna nel modesto ui-cio di Hawass. L’ex faraone dell’archeologia
egiziana è vestito di jeans e se ne sta seduto
dietro a una scrivania carica di documenti.
Parla  al  telefono  con  i  rappresentanti  di
un’emittente televisiva russa, che vogliono
intervistarlo. All’improvviso comincia a ur-lare in arabo. Il suo sfogo dura una ventina
di secondi. Diventa subito paonazzo, poi
chiude la telefonata e mi guarda con aria
imbarazzata.  “Un  imbecille”,  sentenzia
scuotendo la testa. Mi spiega che stava pro-vando a dare indicazioni all’autista della
troupe russa, ma quello non smetteva di in-terromperlo. I suoi scatti di rabbia sono fa-mosi, ma rimango sorpreso dal fatto che mi
abbia presentato questo lato della sua per-sonalità al nostro primo incontro.
Hawass combatte ancora con i problemi
giudiziari cominciati durante la rivoluzio-ne. Nella primavera del 2012 il procuratore
generale gli ha proibito di lasciare il paese
in attesa dei risultati di alcune indagini su
presunte irregolarità ed episodi di corruzio-ne. L’archeologo è accusato di aver sperpe-rato denaro pubblico e messo a repentaglio
i tesori egizi facendoli uscire dal paese sen-za autorizzazione. Inoltre, dopo che qualcu-no  ha  sottolineato  un  possibile  conflitto
d’interessi, Hawass ha interrotto il suo con-tratto con National Geographic, che gli frut-tava 200mila dollari all’anno. Eppure, Ha-wass mi assicura di non essere mai stato
così  felice.  Finalmente  è  libero  da  tutte
quelle responsabilità amministrative e so-prattutto  dall’infinità  di  intrighi  politici
contro cui ha dovuto combattere per anni.
“L’unica cosa che mi manca sono gli scavi.
Ma non mi pento di nulla, non ho nessuna
intenzione di lamentarmi della mia sorte”.
Poi si fa prendere dalla rabbia e sbatte la
mano sul tavolo. “Non sono mai stato de-presso, mai. In tutta la mia vita”.
Zahi Hawass è nato nel 1947 in un villag-gio nei pressi della città di Damietta, sul
delta del Nilo. Dopo aver scartato l’idea ini-ziale di diventare avvocato, si è laureato in
egittologia all’università del Cairo e in ar-cheologia greca e romana all’università di
Alessandria, prima di lavorare come ispet-tore delle Piramidi. A 33 anni si è aggiudica-to una borsa di studio Fulbright e ha prose-guito gli studi all’università della Pennsyl-vania, dove ha ottenuto un dottorato. È in
quel periodo che è cominciata la sua lunga
storia d’amore con gli Stati Uniti.
Contro Sarkozy
Hawass ha trascorso la maggior parte dei
suoi sette anni americani a studiare e a la-vorare. “Vivevo all’università”, racconta.
All’interno del campus guidava l’Unione
degli studenti egiziani. Viaggiava spesso
per partecipare a molte conferenze. Negli
Stati Uniti, ha stretto contatti che più tardi
gli sono tornati estremamente utili per le
sue raccolte di fondi, e ha anche sviluppato
una formidabile capacità oratoria. Nel cor-so degli anni la sua ammirazione per gli Sta-ti Uniti non ha mai smesso di crescere. “Ho
scoperto che gli americani sono le persone
migliori del mondo. Laggiù è facile stringe-re amicizie che durano una vita”.
Hawass è rientrato in Egitto nel 1987 e
ha subito cominciato a lavorare come diret-tore dei siti archeologici di Giza e Saqqarah.
Tre anni più tardi, non lontano dalla Singe,
è arrivata la sua prima grande scoperta: un
cimitero antico con 600 tombe e 50 sepol-cri appartenenti ai costruttori delle Pirami-di, alle loro famiglie e ai loro sorveglianti.
Ricco di gerogliici che descrivono le oferte
rituali e le attività quotidiane, il cimitero ha
rivelato una grande quantità di informazio-ni preziose sulla vita degli egiziani durante
la quarta e la quinta dinastia. Nel 2002 Ha-wass è stato scelto per dirigere il consiglio
supremo per le antichità, diventando re-sponsabile di migliaia di siti archeologici
sparsi nel paese. Da quel momento, la sua
celebrità non ha fatto che aumentare. In
quel periodo il lusso turistico verso l’Egitto
era notevolmente diminuito a causa dell’at-tentato terroristico del 1997 al tempio di
Hatshepsout, alla periferia di Luxor, costa-to  la  vita  a    62  persone,  e  degli  attacchi
dell’11 settembre del 2001. Zahi Hawass è
l’uomo che più di ogni altro si è impegnato
per far tornare i turisti nel paese. Le sue tra-smissioni tv, le sue mostre itineranti, i suoi
scavi prestigiosi e le sue strategie di promo-zione “hanno restituito dinamismo all’egit-tologia”, spiega Rainer Stadelmann, vec-chio amico di Hawass e direttore dell’Istitu to archeologico tedesco del Cairo.  Hawass
ha anche lanciato un’energica campagna
per riportare in Egitto gli oggetti trafugati
dagli europei (come il busto di Nefertiti, og-gi al Neues museum di Berlino, o la stele di
Rosetta, conservata al British museum di
Londra), provocando l’ostilità di alcuni lea-der mondiali e allo stesso tempo alimen-tando la sua fama. Nel 2009 ha chiesto al
Louvre la restituzione di cinque afreschi su
calcare, rubati da una tomba di Luxor negli
anni ottanta e acquisiti dal museo nel 2000
e nel 2003. Davanti al riiuto del direttore
del Louvre, Hawass ha bloccato un cantiere
di  scavi  finanziato  dal  museo  parigino  a
Saqqarah. “Quella volta ho scatenato un
putiferio. Una mattina, alle nove meno un
quarto, stavo per intervenire a una confe-renza quando ho ricevuto una telefonata di
Mubarak. Mi ha detto: ‘Zahi, ho appena i-nito di parlare con Sarkozy. Che sta succe-dendo?’. Gli ho spiegato la situazione e lui
mi ha risposto: ‘Allora fai bene a comportar-ti così’”. Qualche mese dopo il Louvre ha
restituito le opere d’arte. “Il ritorno degli
afreschi è diventato un simbolo”,  mi spie-ga l’archeologo.
Da solo sotto i rilettori
Hawass adorava essere famoso. Girava per
le vie del Cairo a bordo di un 4x4 con auti-sta, beveva vini da trecento dollari, si vanta-va della sua amicizia con l’attore Omar Sha-rif e ogni tanto partecipava ai ricevimenti
nella villa di Mubarak. Nel 2009 ha fatto da
guida delle Piramidi per Barack Obama, ha
perino messo in vendita una replica del suo
cappello alla Indiana Jones e ha concluso
un accordo con un’azienda statunitense per
produrre una linea di abbigliamento. L’afa-re è saltato a causa della rivoluzione, quan-do per i suoi nemici è arrivato il momento
della vendetta.
I difensori del patrimonio culturale han-no  accusato  Hawass  di  aver  trasformato 
luoghi antichi come Luxor e Saqqarah in
parchi tematici, decidendo di usare mate-riali moderni e inadatti come il cemento, i
mattoni, il legno e i metalli. La sua scelta di
restringere l’accesso ad alcuni siti archeolo-gici per proteggerli dai furti e dal vandali-smo  (per  esempio,  ha  fatto  costruire  un
muro intorno alle Piramidi) è stata giudica-ta da alcuni come una sorta di apartheid.
“Ha innalzato un muro sia reale sia simbo-lico tra gli egiziani e il loro patrimonio cul-turale”,  ha  detto  Monica  Hanna,  una  ex
collega di Hawass che oggi insegna archeo-logia all’università Humboldt di Berlino.
Altre persone hanno criticato la sua de-cisione di approvare e annunciare perso-nalmente tutte le scoperte degli altri arche-ologi.  Quando  un’egittologa  britannica
dell’università di York si è ribellata e ha co-municato al pubblico, senza avvisare Ha-wass,  di  aver  identificato  la  mummia  di
Nefertiti tra quelle ritrovate nell’ottocento
in una tomba nei pressi di Luxor, Hawass ha
deinito la scoperta una “bufala”, criticando
apertamente la ricercatrice e impedendole
di lavorare in Egitto. Per i sostenitori di Ha-wass, però, un approccio di questo tipo era
necessario. “I suoi avversari dicono che si è
attribuito il merito di tutte le scoperte fatte
in Egitto, ma in realtà le ha fatte conoscere
al mondo e ha difuso le informazioni attra-verso i canali appropriati”, dice Peter Laco-vara. Alcuni colleghi l’hanno accusato di
aver monopolizzato i rilettori. “Cosa posso
farci? Dio mi ha dato il carisma, perché do-vrei regalarlo ad altri? Chi è oggi la stella
dell’egittologia? Sai dirmi il nome dell’at-tuale responsabile delle antichità egizie?”.
Il 31 gennaio 2011, in piena rivoluzione,
Ahmed Shaiq, primo ministro durante la
transizione militare, ha chiesto ad Hawass
di assumere la guida del nuovo ministero
per le antichità, all’interno di un governo
nato in fretta e furia. Il cambiamento al ver-tice rispondeva al tentativo di calmare i ma-nifestanti  e  allo  stesso  tempo  di  salvare
Mubarak. Hawass ricorda così quel perio-do: “Shaiq diceva: ‘Abbiamo visto la faccia
di  Zahi  in  tutti  gli  schermi  televisivi  del
mondo, gli egiziani lo adorano. Se creiamo
questo nuovo ministero non potrà riiutare’.
Ho pensato che il mio paese aveva bisogno
di me, e non potevo restare senza fare nulla.
Così ho accettato”.
Alcuni colleghi ritengono che abbia sba-gliato a dire di sì. “Credeva di dover fare il
suo dovere, ma non ha capito la rabbia del
popolo contro Mubarak e ha dato prova di
ingenuità politica”, spiega l’egittologo tede-sco  Rainer  Stadelmann.    Da  allora  sono
passati due anni. Zahi Hawass non rinnega
il suo passato, ma ribadisce di “non essere
mai stato vicino” all’ex presidente. “Ho sof-ferto molto a causa del regime di Mubarak.
I ministri mi attaccavano sul piano perso-nale”. Hawass riconosce che Mubarak ha
commesso gravi errori negli ultimi anni del
suo mandato, ma è convinto che solo lui po-teva governare l’Egitto. “Mubarak non era
un uomo malvagio. Ha fatto cose positive,
ma tre decenni al potere sono troppi”.
Incontro di nuovo Hawass in una sala da
ballo dell’hotel Four Seasons del Cairo, un
sabato sera. È molto nervoso, anche perché
il suo futuro è ancora incerto. Ripete di non
avere nessuna intenzione di puntare al vec-chio incarico, ma non smette di parlarmi
del declino del ministero dopo il suo allon-tanamento. “Quando c’ero io il palazzo era
un formicaio. La gente lavorava dalle 9 alle
18, tutti i giorni. Oggi nessuno fa niente”.  In
realtà, Zahi Hawass sembra già pronto per
la sua personale resurrezione. Nel 2012, mi
spiega, c’è stato il centesimo anniversario
del  trasferimento  del  busto  di  Nefertiti
dall’Egitto a Berlino. Hawass ha chiesto più
volte la restituzione del capolavoro. Le au-torità tedesche hanno respinto la sua richie-sta, ma l’archeologo non si arrende. “Sto
scrivendo un articolo su Nefertiti”. Mentre
mi parla, i camerieri girano per i tavoli della
sala, e l’orchestra comincia a suonare. “Vo-glio far capire ai tedeschi che la battaglia
non è ancora inita”. Come Osiride, Zahi
Hawass è certo che il trionfo di Seth può es-sere solo temporaneo. u a

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