martedì 8 ottobre 2013

Scienze - La ine dell’ininito - Amanda Gefter, New Scientist, Regno Unito Se abbandonassimo l’idea che certe cose vanno avanti per sempre, forse riusciremmo a spiegare meglio come funziona l’universo

nfinito. È un concetto che sfida
l’immaginazione. Abbiamo già le
nostre diicoltà a comprendere le
cose estremamente grandi come i
sistemi solari, le galassie, l’univer-so osservabile. Ma queste gran-dezze non sono nulla rispetto all’ininito. Il
solo pensiero ci fa girare la testa. Eppure
non possiamo farne a meno. La nostra ma-tematica è piena di ininiti. La retta dei nu-meri reali si estende illimitatamente ed è
divisibile all’ininito: tra qualsiasi coppia di
numeri c’è un numero ininito di numeri. Il
numero di decimali in una costante come pi
greco è illimitato. Nella geometria, nella
trigonometria e nell’analisi, le manipola-zioni matematiche di cui ci serviamo per
spiegare il mondo si basano sull’idea che
alcune cose non abbiano una ine.
Il guaio è che, una volta sguinzagliati,
questi ininiti sono diicili da tenere a bada.
Fanno saltare le equazioni con cui i isici
tentano di spiegare i fondamenti della na-tura.  Impediscono  una  visuale  organica delle forze che danno forma all’universo.
Ma soprattutto, se si aggiunge l’ininito alla
miscela esplosiva da cui è nato l’universo,
diventa impossibile fare qualsiasi previsio-ne scientiica. Tutto questo ha insinuato un
dubbio sconvolgente nella mente di alcuni
fisici  e  matematici:  si  può  fare  a  meno
dell’ininito?
L’idea che qualcosa possa non inire mai
non è accettata da sempre. “Per gran parte
della storia della matematica l’infinito è
stato tenuto a debita distanza”, spiega Nor man Wildberger, matematico dell’universi-tà del New South Wales a Sydney, in Austra-lia. Per i grandi della materia, da Aristotele
a Newton a Gauss, l’unico ininito era un
ininito “potenziale”. Questo tipo di ininito
è quello che permette di sommare 1 a qua-lunque numero senza mai arrivare alla ine
della retta numerica, ma in realtà è irrag-giungibile. Cosa ben diversa è l’ininito “re-ale”, già raggiunto e opportunamente con-fezionato come entità matematica manipo-labile nelle equazioni.
Il purgatorio dei isici
Le cose sono cambiate alla ine dell’otto-cento, quando il matematico tedesco Georg
Cantor inventò la teoria degli insiemi, il ful-cro della moderna teoria dei numeri. Se-condo  Cantor,  gli  insiemi  contenenti  un
numero ininito di elementi erano essi stes-si oggetti matematici. Grazie a questa bril-lante intuizione fu possibile dare una dei-nizione rigorosa del signiicato dei numeri.
All’interno della teoria degli insiemi, la ret-ta dei numeri reali, composta da tutti i nu-meri razionali (quelli come ½, che possono
essere espressi come rapporto di numeri
interi) e irrazionali (quelli per cui invece
non è possibile, come pi greco), era trattata
come  un  infinito  reale  e  non  potenziale.
“Nessuno ci caccerà dal paradiso creato da
Cantor”, dichiarò in seguito il matematico
David Hilbert.
Per i isici, tuttavia, questo paradiso ini-nito è diventato più simile a un purgatorio.
Per esempio, il modello standard della isi-ca delle particelle è stato a lungo vittima
della patologia degli ininiti, a cominciare
dall’elettrodinamica quantistica, la teoria
quantistica della forza elettromagnetica:
inizialmente, la massa e la carica di un elet-trone risultavano ininite.
Decenni di lavoro, premiati con vari pre-mi Nobel, hanno messo al bando questi in-initi senza senso, o almeno una gran parte.
Come è noto, la gravità è riuscita a resistere
all’uniicazione con le altre forze della natu-ra all’interno del modello standard, perché
apparentemente immune a tutti i trucchi
inventati dai isici per neutralizzare gli ef-fetti dell’ininito. In circostanze estreme,
per esempio al centro di un buco nero, le
equazioni della relatività generale di Ein-stein, che descrivono il funzionamento del-la gravità, non si applicano: la materia di-venta ininitamente densa e calda e lo spa-zio-tempo ininitamente distorto.
Ma è con il big bang che l’ininito ha pro-vocato più danni. Secondo la teoria dell’in-lazione cosmica, nella prima frazione di
secondo della sua esistenza l’universo ha attraversato una fase di espansione estre-mamente rapida. La teoria spiega i tratti
essenziali dell’universo, come l’esistenza di
stelle e galassie. La particolarità dell’inla-zione è che non può essere fermata: conti-nua a espandere pezzi dello spazio-tempo
molto  dopo  la  stabilizzazione  del  nostro
universo, creando un “multiverso” ininito
in un lusso eterno di big bang. In un multi-verso ininito tutto quello che può succede-re può succedere un numero ininito di vol-te. Una cosmologia del genere è in grado di
prevedere qualsiasi cosa. Cioè, in deiniti-va, niente.
Questo pasticcio è noto come “proble-ma della misura”: la maggioranza dei co-smologi ritiene infatti che si possa risolvere
con la giusta “misura di probabilità”, che ci
dice con che probabilità ci ritroveremo in
una particolare tipologia di universo, resti-tuendoci così i nostri poteri previsionali.
Altri invece pensano che ci sia un problema
di fondo. “L’inflazione ci sta avvertendo
che c’è un presupposto di fondo sbagliato”,
osserva  il  cosmologo  Max  Tegmark  del
Massachusetts  institute  of  technology
(Mit). Secondo Tegmark questo presuppo-sto è l’ininito. I isici considerano lo spazio-tempo come continuo matematico estendi-bile all’ininito: come nella retta dei numeri
reali, non ci sono vuoti. Se si mette in di-scussione questo postulato, però, la storia
del cosmo cambia completamente: l’inla-zione  estenderà  lo  spazio-tempo  fino  al
punto di rottura. A quel punto si fermerà,
lasciandosi alle spalle un multiverso gran-de, ma inito. “Tutti i problemi legati all’in-lazione e al problema della misura deriva-no  dal  postulato  dell’infinito”,  dice  Teg-mark. “È il postulato non dimostrato per
eccellenza”.
E ci sono buoni motivi per ritenere che
sia infondato. Gli studi sulle proprietà quan-tistiche dei buchi neri di Stephen Hawking
e Jacob Bekenstein negli anni settanta han-no portato allo sviluppo del principio olo-graico, secondo il quale la quantità massi-ma di informazioni contenuta in un volume
di spazio-tempo equivale a circa un quarto
della supericie del suo orizzonte. Il numero
massimo di informazioni che un universo
della grandezza del nostro può contenere è
pari a circa 10
122
. Se l’universo fosse efetti-vamente governato dal principio olograico,
allora non ci sarebbe spazio a suicienza
per l’ininito.
Ovviamente non ci serve un numero del
genere per misurare i risultati degli esperi-menti. David Wineland, isico del National
institute  of  standards  and  technology  di
Boulder, in Colorado, nel 2012 ha ricevuto il
premio Nobel per la isica grazie allo stru-mento di misurazione più preciso al mon-do: un orologio atomico in grado di misura-re gli incrementi temporali ino a 17 posizio-ni decimali. Il momento magnetico anoma-lo dell’elettrone, che misura i minuscoli ef-fetti quantistici della rotazione della parti-cella, è stato calcolato ino alla quattordice-sima posizione decimale. Ma neanche lo
strumento  migliore  potrà  mai  compiere
una misurazione ininitamente precisa, e
per questo alcuni isici non riescono a darsi
pace. “Penso che l’infinito non piaccia a
nessuno. Nessun esperimento dà mai un
risultato ininito”, osserva Raphael Bousso
dell’università della California a Berkeley.
Ma se l’ininito è una parte così essen-ziale della matematica e del linguaggio che
usiamo per descrivere il mondo, come pos-siamo sperare di sbarazzarcene? Wildber-ger  ha  provato  a  capire  come,  spinto  da
quella che a suo modo di vedere è l’inluen-za negativa dell’ininito nella sua materia.
“La matematica moderna ha alcune gravi
debolezze logiche che sono in un modo o
nell’altro collegate a serie ininite di numeri
reali”, spiega.
Negli ultimi dieci anni Wildberger ha
lavorato a una nuova versione della trigo-nometria e della geometria euclidea, depu-rata del concetto di ininito. Nella trigono-metria classica l’ininito è onnipresente. Gli
angoli sono deiniti in relazione alla circon-ferenza di un cerchio e dunque a una stringa
ininita di decimali: il numero irrazionale pi
greco. Funzioni matematiche come seni e
coseni, che deiniscono gli angoli come il
rapporto tra due lunghezze, sono espresse
in numeri ininiti di termini e solitamente
possono essere risolte solo in maniera ap-prossimativa. La “geometria razionale” di
Wildberger fa a meno dei numeri ininiti:
gli angoli, per esempio, sono sostituiti da
uno spread deinito non in relazione a un
cerchio, ma come risultato razionale estrat to da vettori matematici che rappresentano
due linee nello spazio. Secondo Doron Zeil-berger della Rutgers university di Piscata-way, nel New Jersey, il lavoro di Wildberger
ha del potenziale. “Tutto diventa razionale.
È un bellissimo approccio”, dice.
D’altronde, la concezione dell’ininito di
Zeilberger è talmente radicale che farebbe
rivoltare nella tomba perino i grandi della
matematica precantoriana. Mentre Wild-berger si limita a evitare l’uso dell’ininito
reale  nelle  manipolazioni  matematiche,
Zeilberger vuole sbarazzarsi anche del con-cetto di ininito potenziale. Dimentichia-moci tutto ciò che sappiamo sulla matema-tica: un numero massimo esiste. Se comin-ciamo da 1 e continuiamo a contare, alla ine
arriveremo a un numero che non possiamo
superare, una specie di velocità della luce
della matematica.
Questo solleva una serie di domande.
Quanto è grande questo numero massimo?
“È talmente grande che non si raggiungerà
mai”, dice Zeilberger. “Siccome non sap-piamo qual è dobbiamo dargli un nome, un
simbolo. Io lo chiamo N
0
”. Cosa succede se
a N0
 si somma 1? La risposta di Zeilberger si
basa  su  un’analogia  con  i  processori  dei
computer. Ogni computer è in grado di ela-borare un numero intero massimo: se que-sto numero viene superato si registra un
“errore di overflow” oppure il processore
resetta il numero a zero. Zeilberger consi-dera più elegante la seconda opzione. “Pos-siamo ripensare la matematica postulando
un numero massimo e rendendolo circola-re”, dice.
Hugh  Woodin,  teorico  degli  insiemi
dell’università della California a Berkeley,
è scettico. “Naturalmente potrebbe avere
ragione. Ma per me è una visione limitante.
Perché dovremmo accettarla se non ci sono
solide prove della sua correttezza?”. Secon-do Woodin il successo della teoria degli in-siemi, con tutti i suoi ininiti, è un motivo
suiciente per difendere lo status quo.
Finora la matematica initaria ha attira-to l’attenzione soprattutto degli informatici
e degli studiosi di robotica, che lavorano
con forme inite di matematica. I processo-ri dei computer non sono in grado di gestire
i numeri reali in tutto il loro ininito splen-dore. Li approssimano attraverso l’aritme-tica del punto galleggiante, un sistema di
notazione  scientifica  che  permette  a  un
computer di scartare i decimali di un nume-ro reale risparmiando memoria senza per-dere la sua capacità complessiva.
L’idea che l’universo inito funzioni in
modo simile ha dei precedenti. L’ingegnere
tedesco  Konrad  Zuse,  uno  dei  pionieri
dell’aritmetica del punto galleggiante, co-struì  il  primo  computer  elettronico  pro-grammabile nel soggiorno dei suoi genitori
nel 1938. Constatando che la sua macchina
era in grado di risolvere equazioni diferen-ziali (che di solito si basano su passaggi ini-nitamente piccoli per calcolare l’evoluzione
di un sistema isico) senza ricorrere all’ini-nito, si convinse che la matematica conti-nua era solo un’approssimazione di una re-altà inita e discreta. Nel 1969 Zuse ha scrit-to Calculating space un libro in cui sostiene
che l’universo stesso è un computer digitale
in cui non c’è spazio per l’ininito.
Tegmark,  da  parte  sua,  è  affascinato
dall’idea che tutti i calcoli e le simulazioni a
cui i isici ricorrono per mettere alla prova
una teoria possano essere efettuati su un
computer inito. “Questo già dimostra che
non ci serve l’ininito per quello che dobbia-mo fare. Non ci sono prove che la natura
funzioni in modo diverso”.
Seth Lloyd, isico ed esperto di informa-tica quantistica dell’Mit, raccomanda cau-tela con le analogie tra il cosmo e un comu-ne  computer.  “Non  abbiamo  prove  che
l’universo si comporti come un computer”,
dice. “Mentre molte prove indicano che si
comporta come un computer quantistico”.
A prima vista non sembrerebbe un pro-blema per chi vuole mettere al bando l’ini-nito. La isica quantistica nacque all’inizio
del novecento, quando il isico Max Planck
mostrò come risolvere un’altra assurdità
legata al concetto di ininito. Le teorie clas-siche dicevano che la quantità di energia
emessa da un corpo perfettamente assor-bente e radiante avrebbe dovuto essere in-inita, anche se chiaramente non era così.
Planck risolse il problema teorizzando che
l’energia  non  si  esprime  come  un  valore
continuo e divisibile all’ininito, ma come
un  insieme  discreto  di  valori  multipli:  i
quanti.
Le complicazioni sono nate con il gatto  di Schrödinger. Quando nessuno lo guarda,
questo felino quantistico può essere morto
e vivo nello stesso momento: esiste in una
“sovrapposizione” di stati multipli e reci-procamente esclusivi che si mescolano con-tinuamente.  Matematicamente  questo
continuo  può  essere  rappresentato  solo
usando numeri ininiti. Lo stesso vale per i
qubit di un computer quantistico, che pos-sono  fare  nello  stesso  momento  grandi
quantità di calcoli reciprocamente esclusivi
solo a condizione che nessuno richieda un
output. “Se volessimo speciicare lo stato
completo di un qubit avremmo bisogno di
una quantità ininita di informazioni”, dice
Lloyd.
La tana del coniglio
Tegmark non demorde. “Quando fu sco-perta la meccanica quantistica ci accorgem-mo che la meccanica classica era solo un’ap-prossimazione”, dice. “Io credo che ci sarà
un’altra rivoluzione. Scopriremo che anche
la meccanica quantistica continua è un’ap-prossimazione di una teoria più profonda,
che sarà sicuramente inita”. La risposta di
Lloyd è che dobbiamo lavorare con quello
che abbiamo: “Perché non ci limitiamo ad
accettare ciò che la meccanica quantistica
ci dice invece di imporre i nostri pregiudizi
all’universo? Non ha mai funzionato”.
D’altra parte è logico che i isici ne siano
afascinati. Se si riuscisse a eliminare l’ini-nito dai calcoli sottostanti forse si trovereb-be il modo di uniicare la isica. Per limitarci
al problema della misura, non servirebbe
più trovare una misura arbitraria di proba-bilità per ripristinare il potere di previsione
della cosmologia. In un multiverso inito
non  dovremmo  fare  altro  che  contare  le
possibilità. Se esistesse davvero un numero
massimo dovremmo solo contare ino a lì.
Woodin preferisce tenere separati i due
campi degli ininiti isici e matematici. “Può
darsi benissimo che la isica sia inita”, dice.
“Ma in questo caso la nostra concezione
della teoria degli insiemi rappresenterebbe
la scoperta di una verità che in qualche mo-do va molto oltre l’universo isico”.
Secondo Tegmark, invece, matematica
e isica sono inestricabilmente legate: più
scendiamo nella tana del coniglio della isi-ca per analizzare livelli più profondi della
realtà, più le cose sembrano rispondere alla
pura matematica. Per Tegmark l’errore fa-tale insito nel problema della misura ci dice
che se vogliamo sbarazzarci dell’universo
isico dell’ininito dobbiamo ripensare da
capo anche la matematica. “Ci sta dicendo
che le cose non sono solo un po’ sbagliate,
ma completamente sbagliate”. u fas

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