martedì 8 ottobre 2013

Personaggi - Bill de Blasio Realismo al potere - David Freedlander, Newsweek, Stati Uniti. Foto di Bruce Gilden

Dopo aver vinto le primarie
democratiche, ha buone
possibilità di diventare sindaco
di New York, il 5 novembre. È
un politico progressista,
pragmatico e scaltro. Potrebbe
rivelarsi una sorpresa per tutti



P
arlerò di Joseph Sti-glitz ogni volta che
ne avrò la possibili-tà!”, mi urla al cel-lulare Bill de Blasio.
Difensore civico di
New York (un ruolo che serve da collega-mento tra l’elettorato e il governo della cit-tà), De Blasio è passato nel giro di pochissi-mo tempo da candidato marginale a favo-rito nella corsa per la poltrona di sindaco di
New York. E Stiglitz è uno dei motivi del
suo successo. L’economista della Colum-bia  university fa parte di un gruppo di pro-gressisti illustri – insieme a George Soros,
alla direttrice di The Nation Katrina van
den Heuvel, al politico democratico Ho-ward Dean e all’attrice Susan Sarandon –
che hanno sostenuto la candidatura di De
Blasio, contribuendo a renderlo, dalla sera
alla mattina, il candidato favorito della si-nistra progressista di New York.  
Nell’ultimo anno De Blasio ha lavorato
duro per diventare il candidato della sini-stra per l’elezione del 5 novembre. Si è op-posto ostinatamente allo “stop and frisk”,
un programma che dà alla polizia la possi-bilità di fermare e perquisire un cittadino
senza avere prove di attività illegali. È stato
il primo e unico candidato sindaco portato
via in manette durante la campagna eletto-rale (mentre partecipava a una manifesta-zione contro la chiusura di un ospedale,
qualche settimana fa). Uno dei suoi cavalli
di battaglia è l’aumento delle tasse per i
newyorchesi  che  guadagnano  più  di
500mila dollari. Con i soldi ricavati, De
Blasio vorrebbe inanziare programmi di
accesso agli asili nido e al doposcuola per
gli studenti delle scuole medie. “Uno sfor-zo molto piccolo per una causa molto giu-sta”.
Tuttavia, la mossa più importante di De
Blasio è stata quella di capitalizzare la fru-strazione accumulata dai progressisti della
città  nei  confronti  del  sindaco,  Michael
Bloomberg, e anche verso l’altra candidata
democratica, Christine Quinn, che si è pre-sentata come erede ideologica di Bloom-berg. Il programma della campagna per le
primarie di Quinn si è basato soprattutto
sul messaggio, rassicurante per gli elettori
centristi, che le conquiste degli anni di Blo-omberg – quando la criminalità e la sporci-zia hanno lasciato spazio a piste ciclabili e
accessi alla spiaggia sul lungomare – non
sarebbero andate perdute. Purtroppo per
lei, è venuto fuori che molti progressisti ne
avevano abbastanza di Bloomberg, e pre-ferivano qualcuno più, diciamo, progressi-sta.
Nessuno riesce a capire queste dinami-che meglio di De Blasio. Tempo fa gli ho
chiesto se la sua campagna elettorale stes-se andando come aveva immaginato l’in verno scorso, quando ha annunciato la sua
candidatura. “In generale sì”, mi ha rispo-sto. “Penso che dipenda dal fatto che ho
presentato un progetto progressista chiaro
e  coerente,  e  penso  che  ci  sia  una  parte
consistente di elettorato che ci crede e che
è destinata ad aumentare”.
La strategia di De Blasio – attaccare in-cessantemente gli altri candidati democra-tici accusandoli di non essere abbastanza
di sinistra  – non è nuova nella scena politi-ca di New York. “È la stessa tattica di sem-pre, la sinistra che rincorre la sinistra”, dice
un politico locale. “Corteggi i gruppi pro-gressisti, Harry Belafonte, Katrina van den
Heuvel. Poi ottieni l’appoggio di The Na-tion. Poi Katrina twitta qualcosa su di te, e
l’Huington Post lo rilancia. Dopo qualche
settimana, la tua popolarità comincia a sa-lire”.
Il nome della madre
La capacità di De Blasio di usare questa
strategia ha allarmato i conservatori e alcu-ne élite cittadine. “De Blasio è così estra-neo alla politica tradizionale che qualsiasi
newyorchese dovrebbe essere terrorizzato
all’idea che possa diventare sindaco”, ha
scritto il New York Post. “Un’amministra-zione  De  Blasio  sarebbe  come  un  treno
espresso verso i brutti tempi degli anni set-tanta”. Michael Bloomberg non ha appog-giato nessun candidato, ma Howard Wolf–
son, capo uicio stampa del sindaco uscen-te, ha preso di mira De Blasio su Twitter.
Inoltre, durante una recente intervista in
televisione  ha  dichiarato  che  De  Blasio
“vuole riportare la città indietro ai tempi in
cui c’erano più tasse, in cui era più diicile
fare afari e la polizia era più permissiva”.
In poche parole, De Blasio e i suoi avversari
concordano su una cosa: lui è molto, molto
di sinistra. Ma questo non signiica che se
diventerà sindaco comincerà immediata-mente a realizzare i sogni dei progressisti.
De Blasio è indubbiamente di sinistra, ma potrebbe rivelarsi un politico troppo scaltro
per agire come il sindaco sognato dai suoi
sostenitori e temuto dai suoi avversari.
Nato con il nome di Warren Wilhelm Jr.
e cresciuto a Cambridge, in Massachusetts,
De Blasio ha assunto il cognome di sua ma-dre dopo essersi trasferito a New York per
frequentare la New York university (i suoi
genitori si sono separati quando lui aveva
sette  anni).  Ha  conosciuto  sua  moglie,
Chirlane  McCray,  nel  1991,  quando  en-trambi lavoravano per l’ex sindaco David
Dinkins. All’epoca lei era una lesbica di-chiarata. Nel 1979 aveva scritto un articolo
su Essence in cui descriveva le sue espe-rienze di lesbica afroamericana. oggi han-no due igli: Chiara, 18 anni, e Dante, 15. De
Blasio fa spesso campagna elettorale con la
famiglia. Di recente, durante un giro di vi-site ai centri anziani dei quartieri caraibici
di Brooklyn, Dante – che sfoggiava una ca-pigliatura  afro  sovradimensionata  –  ha
avuto quasi più successo del padre.
Sotto l’amministrazione Dinkins (1990-1993), De Blasio è stato assistente di Bill
Lynch, il guru politico del sindaco. Ha ge-stito le campagne presidenziali di Bill Clin-ton a New York nel 1992 e nel 1996, e ha
lavorato per l’attuale governatore dello sta-to Andrew Cuomo dirigendo l’uicio re-gionale del Dipartimento per lo sviluppo
urbano e abitativo. Nel 2000 ha diretto la campagna elet-torale di Hillary Clinton per il senato a New
York. Quando ha riiutato un importante
posto da consulente politico a Washington
per tornare a Brooklyn e candidarsi al con-siglio comunale, molti si sono meravigliati.
Nel 2004 De Blasio ha lavorato come con-sulente retribuito per la campagna presi-denziale di John Edwards. E nella competi-zione elettorale di quest’anno, la sua reto-rica sul “racconto di due città” – usata per
criticare la crescente disuguaglianza nella
distribuzione del reddito – somiglia molto
a  quella  delle  “due  Americhe”  usata  da
Edwards nel 2004. Tuttavia, durante il suo
mandato di consigliere comunale, si è tro-vato spesso dalla parte sbagliata del fronte
progressista  nel  suo  distretto  (effettiva-mente una cosa non diicile nel quartiere
ultraprogressista di Park Slope) e a volte è
stato accusato di aver favorito gli interessi
dei costruttori e degli immobiliaristi a sca-pito delle preoccupazioni della comunità
riguardo al traico e alla qualità della vita.
Uno stratega
Una volta, per esempio, si è schierato dalla
parte di un’azienda edile contraria all’inse-rimento del canale Gowanus di Brooklyn
nella lista dei siti da boniicare – nonostan-te gli abitanti fossero convinti che la città
non avesse i mezzi necessari a boniicare
l’area. In un altro caso De Blasio ha fatto
pressioni per consentire la costruzione di
abitazioni di lusso nel parco del ponte di
Brooklyn. Ed è stato uno dei principali so-stenitori del controverso progetto di riqua-liicazione dell’Atlantic Yards, destinato a
ospitare il palazzetto della squadra di ba-sket dei Brooklyn Nets, una battaglia de-cennale in cui gli abitanti si sono scontrati
con gli interessi di potenti immobiliaristi.
“Diceva che era necessario fermare l’on-data di gentriicazione, ma tutti sapevano
che quella era la cosa più gentriicante che
potesse accadere a Brooklyn”, dice Lucy
Koteen, un’attivista locale che durante la
campagna per le primarie ha sostenuto il
candidato John Liu. “Non si sbaglia quan-do  parla  del  racconto  di  due  città.  Ma
cos’ha fatto inora? Ha contribuito a creare
delle condizioni più eque per tutti o si è
messo dalla parte dei costruttori che si so-no arricchiti mandando via le persone dalle
loro case?”.
Dopo essere stato eletto difensore civi-co della città nel 2009, De Blasio ha spesso
criticato Bloomberg per non essere riuscito
a mantenere la promessa di ridurre il nu-mero di senzatetto a New York. Ma su altre
questioni ha preso posizioni meno progres siste. All’epoca in cui Liu sembrava un can-didato forte alla carica di sindaco, in grado
di competere per conquistare anche il voto
dei progressisti – prima che il suo indice di
gradimento sprofondasse a causa di uno
scandalo relativo alla raccolta fondi – De
Blasio ha scelto più di una volta di schierar-si dalla parte opposta. Nel 2010, di fronte ai
rappresentanti dell’Association for better
New York, un gruppo di élite cittadine che
lavora dagli anni settanta per inluenzare
la politica locale, ha detto: “Punire Wall
street, tassare Wall street sarebbe la cosa
peggiore per New York, e io mi oppongo”, e
ha sostenuto di essere contrario all’intro-duzione di nuove tasse. Ha corteggiato i
capitali degli immobiliaristi e si è perino
collocato a destra di Bloomberg quando si
è impegnato ad abolire quelle che deiniva
regole onerose per le imprese e lo sviluppo
urbano.
“Bill de Blasio è molto più vicino a Ma-chiavelli che a Marx. Non è un crociato né
un idealista di sinistra”, dice un funziona-rio democratico che ha lavorato a stretto
contatto con De Blasio e che ha deciso di
non sostenere la sua candidatura a sindaco
di New York.
Il into arresto
Consideriamo quello che è successo nel
2011, quando De Blasio ha attaccato Chri-stine Quinn sulle pagine del The New York
Times. Le rimproverava di non aver appog-giato subito una legge che imponeva ai co-struttori destinatari di sussidi comunali di
chiedere alle imprese in aitto negli immo-bili di pagare un salario minimo a tutti i di-pendenti. È stata una mossa politica astuta,
ma molti degli attivisti che appoggiavano
la legge hanno storto il naso. Secondo loro,
con il suo comportamento De Blasio aveva
trasformato la legge in una questione elet-torale, riducendo le possibilità che fosse
approvata. In quel periodo, l’organizzazio-ne Living Wage Nyc dichiarava: “La cam-pagna elettorale per l’elezione del sindaco
nel 2013 non dovrebbe inluenzare il desti-no della legge sul salario minimo”. Stuart
Appelbaum – presidente del sindacato per
il lavoro nel commercio e nei servizi, uno
dei leader della campagna per il salario mi-nimo e sostenitore dichiarato di Quinn – ri-assumeva così il suo pensiero su De Blasio:
“È un politico più che un ideologo”.
“Non credo che sia un ipocrita. È piut-tosto uno stratega”, dice un funzionario
locale che ha lavorato sia con De Blasio sia 
per i suoi oppositori. “È bravo a scegliere le
sue posizioni politiche. È stato un progres-sista  convinto  ma  non  è  riuscito  a  farsi
amare dalla sinistra, o da The Nation. Poi
ha capito che per vincere doveva mettersi
più a sinistra di chiunque altro, e l’ha fat-to”.
Insomma, non c’è da stupirsi se Bill de
Blasio ha intenzione di parlare di Joseph
Stiglitz tutte le volte che potrà: le sue sono
idee politiche brillanti. Lo stesso funziona-rio aggiunge: “Non bisogna sottovalutare
la sua astuzia. Se non fosse stato il favorito
nella  corsa  per  la  poltrona  di  sindaco,
avrebbe sicuramente guidato la campagna
elettorale del possibile vincitore”.
Di sicuro De Blasio ha dato del ilo da
torcere ai suoi rivali, soprattutto a Quinn,
che nonostante un passato di attivista per il
diritto alla casa e di sostenitrice dei diritti
degli omosessuali e dei transgender, è stata
identiicata come la candidata dello status
quo. “In qualsiasi stanza entrasse, Christi-ne Quinn era di gran lunga la persona più
progressista. Ora invece non sa più cosa
fare”, dice un funzionario vicino a Quinn.
“Bill ha dimostrato di essere più intelligen-te dal punto di vista politico”.
Il migliore esempio della scaltrezza di
De  Blasio  è  stato  il  suo  arresto,  forse  la
mossa politicamente più azzardata di un
candidato a sindaco di New York  dai tempi
della  campagna  di  Norman  Mailer,  che
correva con lo slogan “Buttate dentro tutti
i mascalzoni”. Non è stato solo un grande
colpo di teatro: l’incidente è servito a ricor-dare subdolamente agli elettori che, nel
distretto del Quinn, nel West side di Man-hattan, un ospedale storico era stato chiu-so per costruire un complesso di alloggi di
lusso.
Anche se ci sono molte prove della sua
astuzia  politica  e  del  suo  pragmatismo,
molti descrivono ancora De Blasio come
un idealista. Un’immagine che lo ha aiuta-to nelle primarie democratiche e che pre occupa elettori moderati e conservatori.
Ho chiesto a De Blasio come rispondereb-be  all’accusa  di  essere  troppo  radicale,
troppo ideologizzato per guidare una città
così grande e complicata. Lui ha risposto
dicendo che la lotta alla disuguaglianza è la
sua priorità, ma ha aggiunto: “Capisco che
ai miei avversari piaccia rappresentare in
modo scorretto le mie posizioni, ma ascol-tando le mie proposte ci si accorge che si
tratta di una visione politica piuttosto in-clusiva”.
Inoltre  ha  ricordato  il  suo  lavoro  per
Dinkins, Cuomo e soprattutto Hillary Clin-ton. Gli ho chiesto se quegli incarichi gli
hanno dato l’esperienza per governare la
città – visto che dopo tutto si trattava di vin-cere una gara, non di governare. De Blasio
si è spazientito, come se la risposta fosse
in troppo ovvia. “Oh, andiamo”, ha rispo-sto. “Ho gestito un’organizzazione molto
grande e complessa, in cui dovevamo far
dialogare uici diversi nello stato di New
York e a Washington, coordinarci con la
Casa Bianca sotto i rilettori accecanti e in-sistenti dei mezzi d’informazione interna-zionali,  e  decidere  come  affrontare  un
mucchio di questioni – costruendo un ap-parato molto complesso e gestendo per di
più il ruolo da irst lady di Hillary Clinton. È
ovvio che queste esperienze mi hanno aiu-tato ad acquisire competenze di leader-ship, strategia e capacità di gestire un con-testo  politico  complicato  e  mutevole.
Quell’esperienza mi ha fatto crescere mol-to, è evidente”.
Lettura diicile
I progressisti che sono saltati con tanto en-tusiasmo sul suo carro potrebbero restare
delusi dal fatto che De Blasio in realtà è pri-ma di tutto un politico pragmatico. Molti
elettori moderati e sostenitori di Bloom-berg, dal canto loro, potrebbero sentirsi
rassicurati prendendo in considerazione la
sua parabola politica.
Kathryn Wylde, direttrice del fondo di
investimenti Partnership for New York Ci-ty – importante alleata di Bloomberg e che
conosce De Blasio dai tempi del diparti-mento per lo sviluppo urbano e abitativo –,
sospetta che la sua campagna elettorale
ultraprogressista sia almeno in parte una
scaltra manovra tattica piuttosto che una
crociata ideologica. E per lei questa è una
buona notizia. “Credo che una retorica de-stinata a dividere non sia un bene per la
città, ma la retorica è pur sempre necessa-ria per vincere”, dice. “Non è un radicale. È
una persona ragionevole, ma anche molto
ambiziosa. Gli piace vincere”. u gim

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